martedì 8 luglio 2014

pietro villa e vignale

Vignale fu per Pietro Villa un luogo magico dal quale attingere e nel quale immergersi. I soggiorni nel paese monferrino gli permisero di elaborare straordinarie descrizioni paesaggistiche, stimoli visivi che seppero trasformarsi in autentici brani poetici.



La descrizione del paesaggio, spesso evocato dalle sole presenze di elementi vegetali, piante e arbusti comuni, come pioppi, canne o cardi selvatici, è risolta con pochi tratti, una soluzione che rimanda agli esiti di certa pittura fatta di essenzialità , realizzata attraverso lavori di raffinata sintesi, in cui la risoluzione della figura è demandata a rapidi segni che “costruiscono” un frammenti di realtà, oppure tende a un’astrazione che solidifica i campi cromatici con diversi strati giocati tra le tonalità del bianco e del nero in cui si struttura lo spazio della sua incisione.



È chiaro che si tratta di riflessi all’interno di scelte personali, di influenze delimitate, mediate attraverso discussioni e confronti. Ciò viene fuori considerando le variazioni su un tema, quando il pittore di pone di fronte all’oggetto, quando ne percepisce l’aspetto più intimo. E tutto ciò è frutto di un controllo assoluto del mezzo e insieme della capacità di lasciare sbocciare senza impedimenti i fiori della mente, in uno stato di totale concentrazione in cui il gesto misuratissimo riesce a essere libero e spontaneo in virtù di una disciplina spirituale che considera il visibile al limite dell’esperienza mistica. L’incisione di Villa ha una struttura lieve, tutta emozionale, che tesse su una trama di silenzio un ordito di suoni e rumori purissimi, una musica che richiede concentrazione assoluta nell’attimo in cui diventa immagine.




Ma ciò non avviene solo relativamente all’opera incisa, ne è riprova la piccola sezione formata dai tre pastelli colorati, integrati da campiture a gessetto. Essi sono realizzati su una carta povera, quella dei bottegai. Probabilmente questo divertissement gli garantiva l’esplicitazione di quella sua capacità di gestire segno e colore, confermata peraltro anche dai bellissimi oli degli anni Settanta che ci comunicano le enormi potenzialità estetiche di questo maestro.

mercoledì 2 luglio 2014

eduard habicher: il segno bloccato nel tempo

Avevo visto per la prima volta un’opera di Eduard Habicher al Messner Mountain Museum di Bolzano: una striscia d’acciaio colorato che sfidava la gravità arrampicandosi sul muro esterno dell’edificio che ospita il museo. Il significato dell’opera era palese e insisteva sulla metafora  alpinistica, dimostrando in chiave concettuale la forza e l’efficacia dell’azione estetica dello scultore.



Questo riferimento personale è uno spunto per segnalare l’opportunità di confrontarsi con l’opera di Habicher, altoatesino di Malles, in uno spazio più intimo che, forse, riduce l’impatto emotivo della visione en-plein-air, ma conferma la grandezza del suo progetto artistico. Le sue opere si espandono nello spazio creando ritmi e fratture che si insinuano nel nostro campo visivo come elementi grafici tesi a costruire delle sfilacciature che sembrano concretizzare la quotidianità del gesto umano. Ciò che rimane di un qualunque gesto appartiene alla memoria; Habicher incanala la forza di quel dinamismo che identifica l’universo in tutti i suoi rapporti dialettici e la blocca. La sua azione non presuppone la stasi di quei segni: essi continuano nel loro movimento perché spinti dall’immaginazione dell’osservatore che imprime continuamente nuove spinte che si completano a livello spirituale.



Inoltre, l’opera di Habicher non rinuncia al dialogo con la natura. I suoi lavori – soprattutto quelli realizzati per l’esterno – sono costruiti con materiali che riescono a integrarsi con il preesistente, diventando elementi essenziali di una nuova visione del reale. Negli interni le sue sculture si caratterizzano per l’estrema leggerezza. Esse partono da un punto e fluttuano nell’aria per poi appoggiarsi al pavimento o per continuare a sfidare la legge di gravità rimanendo sospese nel vuoto.




Habicher, in riferimento a una precisa poetica tesa alla riflessione sull’elemento naturale, costruisce delle strutture dal carattere straordinariamente organico che uniscono leggerezza e forza. È una forza che trattiene, quasi casuale, che stritola il sasso o il pezzo di vetro, che contorce la barra d’acciaio. È la stessa forza che controlla l’universo e che permette alle cose di trasformarsi in altre cose, di diventare altro.