All’interno di uno spazio definito, gli estremi sono i due
punti più lontani tra loro. Lasciando da parte le congetture fisiche sulla
possibilità che nell’infinito gli estremi si congiungano, nel finito essi sono
caratterizzati da oggettive diversità che li diversificano.
Enrico Barberi comprende che il paesaggio è un modo di guardare, di capire il lontano e il vicino.
Barberi ci invita alla contemplazione, ci invita a osservare attraverso il
filtro della fotografia, a guardare con più attenzione, a rapportarci al mondo
in un certo modo, avendo in cambio un frammento di un dato avvenimento. Come ha
detto Gabriele Basilico, l’inquadratura è un luogo privato di meditazione,
un’esperienza assolutamente personale.
Per molti, ciò che osserviamo in estremi è una sorta di dejà vu. I luoghi proposti da Barberi sono,
dal punto di vista estetico, sospesi nel giudizio, per quanto possibile. Estrtemi è un dialogo tra orizzonti
visuali, è un’unione di squarci di luoghi perché non esiste un luogo ideale,
perché il luogo ideale è un posto nel quale ciascuno di noi non è mai stato.
In estremi Barberi
si approccia al mondo in una maniera che sembra non cambiare rispetto
all’antico – e con antico intendo riferirmi all’estetica dei grandi fotografi
di paesaggio –. Il riferimento culturale è quello di Cartier-Bresson per il
quale si cerca di fermare lo sguardo su quanto la gente non sarebbe riuscita a
vedere in determinati momenti della visione, che è sempre dinamica. I luoghi
hanno un’anima e riescono a parlare. È necessario ascoltare il silenzio, il
vuoto, l’assenza di accadimenti che aiutano a porsi in relazione con lo spazio
senza negare né vita né umanità. Barberi crea una sorta di trait d’union che
collega tutti gli spazi. Tra l’Islanda, terra primordiale ancora in formazione,
e San Francisco, spazio urbano totalmente condizionato dalle esigenze umane, ci
sono tutte le possibili variabili: scattare una fotografia in un determinato
luogo conserva la memoria dei precedenti e si colloca idealmente in un archivio
che sfaccetta la realtà fino a immortalarla completamente.
Alla base del progetto di Barberi c’è un messaggio che sembra
trasmetterci l’idea che ciò che sta avvenendo è una trasformazione del mondo in
una grande e immensa città. Barberi parte dal cosa c’era prima, ci offre dei
luoghi nei quali la presenza umana è ridotta alla pressoché invisibilità, al
silenzio. Non a caso nel primo scatto si individua una figura femminile nel
paesaggio, una mater tellus dalla
quale tutto proviene; si conclude il percorso con un’ambientazione analoga in
cui si vede invece una figura maschile, un principio negatore del precedente che
deve essere percepito come una sorta di ultimo uomo sulla Terra, un pianeta
desertificato e privo di speranze. In mezzo il resto.