Seguendo il pensiero di Charlotte Cotton, importante critico fotografico contemporaneo, le foto di Guido Harari e Joe Alper, relative alla documentazione di “ambienti musicali”, si potrebbero collocare a metà strada tra la narrazione storica e la descrizione delle relazioni emotive. L’attività dei due fotografi (Alper è morto nel 1968 a 43 anni) è messa a confronto in una interessante rassegna al Labirinto di Casale Monferrato, nell’ambito del festival Book & Blues, e questo confronto ci permette di comprendere che la forza della loro arte sta nel fatto che entrambi cerchino di porre i propri soggetti su un piano “umano”, sfrondando le loro esistenze di quegli aspetti che invece vorrebbero collocarli all’interno di una percezione totalmente idealizzata.
Attualmente, afferma Guido Harari, è impossibile operare una documentazione non ufficiale, non controllata da un sistema che ci tiene a conservare un’immagine iconica e trascendentale della star. Fare fotografie come quelle che egli scattò tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta, quelle che noi apprezziamo maggiormente perché descrivono l’esistenza di un musicista nella sua quotidianità lavorativa, nei suoi affetti, nel suo lato meno ponderato e più casuale, è ormai impossibile.
La sequenza dinamica, quasi famigliare di certi servizi (memorabile quello sul giovanissimo Bob Dylan di Alper, del 1962) diventa una sorta di diario di intimità umana. È quasi come se il fotografo raccontasse anche qualcosa di sé, esplicitando un rapporto di conoscenza che va al di là della semplice esperienza di lavoro. Harari racconta che è anche per la sua amicizia con Lou Reed e Laurie Anderson se è stato possibile concludere degli scatti che ritraggono i due musicisti in una luce priva di drammaticità, esplicitandoli in una sensazione immaginativa priva di grande importanza, ma assai efficace emotivamente.
In questo senso, gli scatti di Harari e Alper si collocano nella nostra memoria, invitandoci a diventare consapevoli di ciò che vediamo, concentrandoci su sul senso profondo di queste fotografie che danno forma alle nostre emozioni e alla nostra visione del mondo. Non facciamo fatica a comprendere la profondità dell’elemento culturale di questi documenti visivi che, a volte, ci appaiono come frammenti di film degli anni passati che noi cominciamo immediatamente a leggere come storie evocate dalle immagini.