Pinocchio ha il fascino di una storia senza tempo. È stato detto e
scritto moltissimo sul burattino di legno che diventa bambino; moltissimi
artisti, poi, si sono cimentati con la rappresentazione di episodi che
strutturano la favola di Collodi. Con questa mostra si aggiunge un altro
elemento alla saga, si aggiungono delle visioni che tendono a far riflettere
proprio su questo racconto.
Pinocchio è un antieroe che si colloca agli antipodi dei
protagonisti dell’altra grande storia per ragazzi scritta da Edmondo De Amicis.
Nel libro Cuore non c’è nessuno che in qualche maniera ricalchi la complessa
personalità di Pinocchio. Egli è dapprima un vizioso, un ingenuo, privo di
qualunque morale. La sua coscienza emerge talvolta sottoforma di Fata Turchina
o di Grillo Parlante, ma è una coscienza priva di consistenza, ricattatoria,
che, inascoltata, viene addirittura irrisa e accantonata di fronte a epicuree
prospettive di divertimento. Per questo Pinocchio si presta a migliaia di
interpretazioni artistiche. Non è banale affermare che la sua faccia di legno
carica di espressione è simile a quella stupita del bimbo di fronte alla novità
delle cose del mondo. Come un bambino Pinocchio non giudica ma è giudicato;
Pinocchio cerca lo spirito vitale delle cose ma è continuamente rispedito al
cospetto della realtà dei fatti. Il mondo che vorrebbe – rappresentato dal
Paese dei Balocchi – è rifiutato dai benpensanti, dal mondo borghese dal quale
vorrebbe uscire ma al quale è continuamente costretto. Pinocchio, riprendendo
un pensiero di George Bataille, è un ragazzo abbandonato a se stesso, libero da
ogni costrizione e da ogni convenzione. Contro di lui la società oppone regole
e condizioni assolute che uccidono la sua innocenza e la sua poesia. La
trasgressione è tanto più forte quanto più l’interdizione è dura e intangibile.
Alla fine solo la morte del burattino e la rinascita come bambino sembrano
poter liberare Pinocchio dalla sua passione autodistruttiva.
In questi termini solo l’arte, terreno tradizionalmente libero da
convenzioni e regole nel quale si manifesta l’individualità dell’artista, può
far rimanere Pinocchio in una perenne utopia, quel non luogo che nella storia è
l’inviso Paese dei Balocchi. Questo è lo sfondo affascinante sul quale si
staglia la silhouette del burattino. La vera invenzione collodiana, il vero
luogo fantastico nel quale ci si può perdere è proprio quello. Per l’arte è il
luogo dello spirito, è il luogo della libertà assoluta dove “le vacanze
iniziano il 1° gennaio e finiscono il 31 dicembre”. Ecco perché Pinocchio
diviene simbolo, ecco perché evoca scenari nei quali tutto è possibile nei
quali tutto può avvenire e tutto può essere rappresentato senza impedimento
alcuno.
Collodi realizza un racconto che ha il passo della narrazione
evangelica. È un insieme di parabole che devono mettere in guardia il lettore e
che, alla fine, devono condizionare ogni libertà personale. Pinocchio è uno
sciocco che si fida degli uomini, una sorta di androide che non può fare del
male agli esseri umani. Il suo percorso è una sorta di purificazione, una
sconfitta per la sua personalità di “essere di legno” che deve scendere a
compromessi per potersi integrare nella società degli uomini. Tra gli uomini
non c’è spazio per la bizzarria, per l’improvvisazione, per il vivere alla
giornata. Il cammino di Pinocchio è una sconfitta. Alla fine della storia tutti
ottengono una vittoria, anche un personaggio come Lucignolo è vincente rispetto
al burattino. Egli, rimanendo asino,
sfida le convenzioni borghesi che lo vorrebbero “bravo ragazzo”. Pinocchio,
invece, risputato insieme al padre Geppetto dal ventre della balena, ottiene il
miracolo di essere come gli altri, omologandosi e rinunciando alle precedenti
possibilità.