Ciò a cui ha lavorato ultimamente Vito Boggeri ha come filo conduttore il viaggio. In realtà, è difficile pensare alla totalità della sua opera senza tenere in considerazione questo tema. Infatti, tutto ciò che egli crea è parte di un viaggio personale che si riempie di annotazioni, di riflessioni, di indicazioni. Boggeri è un attento osservatore, e i suoi lavori sono pagine di un taccuino che egli porta sempre con sé, nella sua mente.
Per Boggeri non si può pensare a un atteggiamento simile a quello degli artisti che nei secoli precedenti compivano un Grand Tour, egli non annota, ricorda e elabora. Nei suoi lavori non è possibile individuare un luogo preciso che sia da sfondo a una situazione narrata, anzi, le sue opere il più delle volte sono paesaggisticamente scarne: il profilo di una periferia, un’area industriale evocata dalla silhouette di una ciminiera. Probabilmente sono i luoghi che egli ha somatizzato nei suoi movimenti tra Piemonte e Liguria, tra Italia e Europa, tra Europa e Mondo. I personaggi che vivono in quelle realtà sono pure loro ridotti all’essenziale, più evocazioni piuttosto che autentiche realtà viventi.
Per questo è giusto dire che ciò che Boggeri è un narratore di viaggi, un illustratore. C’è qualcosa di omerico nel suo atteggiamento, qualcosa da interpretare come se egli si accingesse continuamente a trattare un mito. I suoi cartoni, grezzi, poveri, per qualcuno provocatori, sono delle metope che compongono un fregio fatto di parti che possono vivere autonomamente, oppure possono essere unite come capitoli di un racconto. In più, quasi a sottolineare una volontà misteriosa di far comprendere il senso stesso dell’incedere del suo operare, egli offre all’osservatore dei titoli enigmatici, degli autentici oracoli che giocano sugli aspetti retorici della lingua, sullo slittamento del significante, enigmi ironici che talvolta non sono immediatamente comprensibili. Questo, ovviamente, fa parte del gioco, un gioco che non si limita a offrire una situazione pittorica, ma la incanala nella giusta direzione.
La sua è un opera di transizione, nel senso che si muove di punto in punto, ed è per questo che deve essere considerata nomade e quindi automaticamente legata al viaggio. Sinestesie di ogni tipo (sonore, olfattive, tattili) costellano le narrazioni di Boggeri, introducendo l’osservatore nell’atmosfera propria dell’opera di questo artista, fatta di essenzialità, di odori urbani, di suoni e di voci lanciate dai suoi personaggi. Accanto a queste situazioni assimilabili a un mondo reale, ecco che si affiancano ampi gli spazi dell’immaginazione, spazi che non appartengono più al pittore, ma a ciascuno di noi. In questa fase diventiamo protagonisti di un’azione drammatica nascosta, inevitabile per ogni allestimento.
Questa preferenza per uno stile semplice che nasconde evocazioni che vanno dall’antichità alla più attuale modernità non arriva mai a pregiudicare l’idea di un necessario e inevitabile sincretismo culturale. A ben guardare ognuno dei suoi quadri è pieno di queste citazioni, citazioni che da una parte producono quiete e dall’altra tensione e coinvolgono anche il più piccolo dettaglio pittorico. Per Boggeri è importante l’appropriazione totale dello spazio, un luogo dove si incontrano forme di energia pura, sostegno di ogni possibilità di comunicazione tra individui. Il suo intervento rimane totalizzante, con valenze marcatamente simboliche. Come sosteneva il critico Emilio Tadini, il simbolo può consentire di arrivare a ciò che ancora non si conosce. Questa affermazione può essere allargata anche al lavoro di Boggeri poiché intorno a questo tema egli ha costruito un reticolo di riferimenti ideali che appaiono come gli snodi di un percorso in continuo divenire.