È un dialogo estetico di grande interesse e equilibrio
quello tra Enzo Bersezio e Carlo Ivaldi, un dialogo tra elementi poderosi che,
pur mantenendo la loro connotazione materica, riescono idealmente a
compenetrarsi creando una visione complessa che nasce all’interno di una
cultura che vuole sviluppare l’opera d’arte totalmente, facendo leva su dei
materiali che tradizionalmente sono legati o alle cosiddette arti minori, o a
branche dell’arte diverse da quelle pensate come propriamente plastiche.
Bersezio e Ivaldi sembrano allora interagire per creare un progetto logico di
giustapposizioni che trasformano lo spazio espositivo in un’area in cui le
forme si modellano come segni di legno e ferro.
L’opera di Bersezio, forse anche per le caratteristiche
intrinseche del legno, materiale sul quale si è ultimamente sviluppata la sua
ricerca, tende a insistere sulla verticalizzazione. Il grande tepee, per
esempio, è molto di più che una citazione della cultura nativa americana,
poiché fa riferimento al mondo nella sua totalità. Lo scheletro della capanna è
un asse che regge il mondo e che congiunge il cielo alla terra e che rende
possibile la comunicazione fra essi, conducendo fino al sole. In più la materia
stessa adoperata da Bersezio, levigata come se avesse vissuto il destino di un
relitto trasportato dalle onde, ci rimanda al senso stesso del passare del
tempo, al modellarsi delle cose che si adattano a nuova vita completando un
circolo di grande valore evocativo.
Carlo Ivaldi inserisce i suoi lavori in una sorta di
percorso che prende inizio all’aperto. Queste sono opere adagiate sul terreno,
quasi a mimetizzarsi con la natura. Sono opere che hanno il colore della terra
e che appaiono come frammenti di antichi interventi umani. Per questo, anche il
lavoro di Ivaldi ci riporta al relitto, a qualcosa che è stato adoperato e che
ha lasciato sulla sua “pelle” il segno del trascorrere del tempo. Sono opere
che hanno subito delle perdite, si sono alleggerite talmente da trasformare in
elemento compositivo anche quel vuoto
che circonda di materia. Per questo esse possono sollevarsi sfidando la forza
di gravità, non più sospese a fili invisibili, ma appoggiandosi a sottili steli
o assottigliandosi fino alla diafanità.