lunedì 2 ottobre 2017

le sculture di pino di gennaro

Pino Di Gennaro è uno scultore raffinato la cui produzione è caratterizzata dall’utilizzo della cartapesta, un elemento povero col quale ottiene risultati suggestivi di luminosità e trasparenza. Questa è la premessa per comprendere lo spirito delle opere che lo scultore di origine pugliese imposta insistendo sugli stilemi che lo caratterizzano, tensioni di luci e ombre, di lucidità e increspature, di colori.



Le sue sculture hanno a che fare con la natura, anzi, permettono al materiale di interpretare la natura. Essa si nasconde nelle cose, nella cartapesta con cui Di Gennaro costruisce gli alberi, nei bronzi e nei metalli che sembrano evocare immagini astrali, simili a luci che si accendono nel buio dell’universo.




Inoltre – rimarcando l’altra componente fondamentale del processo creativo di Di Gennaro – in alcuni dei suoi lavori vi è un evidente ricorso a forme segniche che si collocano sulle superfici come tratti di antiche iscrizioni, alfabeti dimenticati che emergono per sottolineare una misteriosa volontà comunicativa. 

mercoledì 24 maggio 2017

aller e bruzzone, dialogo segnico

Il confronto tra autori, solo apparentemente lontani, risulta assai stimolante per cogliere le peculiarità di un certo modo di fare arte. Per Bruno Aller e Franco Bruzzone, artisti diversi per formazione ma i cui esiti pittorici sembrano avere un medesimo respiro, il tratto unificante potrebbe essere cercato nella volontà di indagare il segno, quale elemento di base per esplicitare la forza evocatrice di un’opera.



Franco Bruzzone ricava delle immagini che traggono la loro linfa dal mischiarsi di segno e colore. Bruzzone riesce a offrire delle variazioni che invitano all’osservazione e alla meditazione. Di fatto egli crea attraverso il susseguirsi di segni e colori qualcosa che ci riporta al suono; la sua arte è melodica, il soffio di un flauto che richiama la poesia.




Bruno Aller è autore di straordinari ritratti. La sua arte non ricalca il modello tradizionale, il volto del personaggio che egli identifica viene proposto con l’unione di lettere alfabetiche che de-scrivono l’essenza evocativa della pronuncia. Il ritratto si fa voce e si determina con la ripetizione del nome ottenuto con la connessione delle lettere che lo compongono. 

martedì 18 aprile 2017

(M)others di Beatrice Gallori

Dietro alla costruzione degli impianti cellulari di Beatrice Gallori c’è un lavoro difficile, a metà strada tra l’alchimia e l’arte. La cellula è uno degli elementi base della vita, anzi, è essa stessa la testimonianza di un’attività che può legarsi all’esistente. La Natura ha stabilito l’aggregarsi cellulare in modo casuale, e grazie a questa casualità si è sviluppato ciò che i filosofi hanno chiamato “essere”.




Come il protagonista di un romanzo di Matheson ci piacerebbe entrare a contatto con quell’infinitamente piccolo universo cellulare, ma data l’impossibilità di questo viaggio, non ci resta che affidarci all’arte. La bellezza dell’opera di Gallori è determinata in particolare da due elementi: quello prettamente estetico e quello evocativo. Il percorso di Gallori è affascinante, l’artista toscana ci conduce a contatto con superfici lisce, dai colori accesi, sulle quali colloca delle sfere aggregandole in modo da creare essa stessa delle forme. Esse sono la metafora di qualcosa che ci appartiene ma che ci è totalmente invisibile, quel qualcosa che, genericamente, potrebbe definirsi vita.


domenica 16 aprile 2017

arte sacra nei sottotetti della cattedrale di casale monferrato

La mostra di Arte Sacra nel sottotetto della Cattedrale di Sant’Evasio di Casale Monferrato  concretizza un palese interesse manifestato da molti artisti contemporanei. Essi,  forse condizionati da una misteriosa forza accatastata in secoli di arte, producono spesso opere che si richiamano a tematiche riconducibili al sacro. Alcuni lavori lo sono in modo palese, altri invece sfruttano l’analogia, il carattere evocativo che un determinato segno lascia nella memoria di ciascuno di noi, e per questo si può affermare che il lato religioso dell’arte contemporanea è stato trattato in maniera approfondita da molti artisti che hanno prodotto opere dal suggestivo senso religioso.

mario fallini, ascensione (foto enzo bruno)

È ovvio che per chi è abituato a identificare i contenuti della religione con la semplificazione iconografica creata ad hoc per il compiacimento delle masse prive di cultura, le prove artistiche più complesse basate sull’analogia evocativa, sul recupero di materiali “poveri”, sull’esasperazione espressiva e materica, susciatano sempre delle perplessità. Su questo punto si dividono sovente le opinioni, in quanto, persino gli entusiasti a volte non riescono a celare la propria incomprensione.



alex pinna, waiting in time square


Per ovviare a questo problema, il percorso proposto nei sottotetti della cattedrale di Casale Monferrato è stato pensato coinvolgendo autori capaci di trarre dalla materia qualcosa in grado di evocare una problematica filosofica, oppure teologica, o icononologica dell’ estetica contemporanea. Il fatto poi di collocarele sculture in uno spazio architettonico di altrettanto fascino dà un ulteriore valore ai lavori degli artisti coinvolti. A proposito del “contenitore”, quando nel XIX secolo Arborio Mella realizzò i lavori che rimaneggiarono l’intero complesso architettonico in chiave storicista, l’architetto cancellò alla vista intere porzioni dello spazio romanico. Questo porzioni –  ampi frammenti di scultura, modanature e elementi costruttivi in genere –  emergono seguendo il percorso della mostra. Pertanto, oltre a confrontarsi con le opere esposte, il pubblico può osservare da vicino una serie di frammenti che affiorano come delle righe di antica scrittura in un incunabolo. Il dialogo tra il passato e il presente dimostra effettivamente la mutazione del linguaggio con il quale gli artisti comunicano, ma dimostra altresì come sia possibile che la sintassi di base, tesa alla valorizzazione del Sacro, non abbia mai perduto quella sua capacità di trasformare lo spazio in tempo e il tempo in assoluto.


giovanni bonaldi, rotolo (foto marika dalloco)

martedì 28 marzo 2017

il segno di enrico della torre

Enrico Della Torre è uno dei massimi esempi di artista contemporaneo italiano. Già protagonista negli anni del dibattito italiano sull'arte contemporanea, Della Torre è autore di una serie di opere recenti che indagano ancora più a fondo la sua estetica.

Per questo, nella mostra alessandrina a lui dedicata, accanto alle sue opere più identificative, soprattutto acqueforti e acquetinte, sono poste alcune opere su carta, in prevalenza pastelli e disegni, opere che confermano la forza del suo segno che si unisce al colore. L’immagine che si ricava è quella di una figura che sembra costruirsi geometricamente, sembra affermarsi, come direbbe Paul Klee, in modo da dover essere interpretata per renderla appunto una figura, per darle rilievo con un gioco alterno di luci e ombre.


Della Torre con questi lavori sembra concludere il processo di comunicazione intersoggettiva, cioè non mediata dal riferimento alla natura intesa come codice o linguaggio comune all’artista che emette il messaggio e al fruitore che lo riceve. Infatti, la sua arte diventa poesia, è la sintesi di un suono che si sedimenta nel segno e rimane assoluto, sospeso nel tempo e nello spazio.

mercoledì 8 marzo 2017

il paesaggio estremo di enrico barberi

All’interno di uno spazio definito, gli estremi sono i due punti più lontani tra loro. Lasciando da parte le congetture fisiche sulla possibilità che nell’infinito gli estremi si congiungano, nel finito essi sono caratterizzati da oggettive diversità che li diversificano.



Enrico Barberi comprende che il paesaggio è un modo di guardare, di capire il lontano e il vicino. Barberi ci invita alla contemplazione, ci invita a osservare attraverso il filtro della fotografia, a guardare con più attenzione, a rapportarci al mondo in un certo modo, avendo in cambio un frammento di un dato avvenimento. Come ha detto Gabriele Basilico, l’inquadratura è un luogo privato di meditazione, un’esperienza assolutamente personale.

Per molti, ciò che osserviamo in estremi è una sorta di dejà vu. I luoghi proposti da Barberi sono, dal punto di vista estetico, sospesi nel giudizio, per quanto possibile. Estrtemi è un dialogo tra orizzonti visuali, è un’unione di squarci di luoghi perché non esiste un luogo ideale, perché il luogo ideale è un posto nel quale ciascuno di noi non è mai stato.

In estremi Barberi si approccia al mondo in una maniera che sembra non cambiare rispetto all’antico – e con antico intendo riferirmi all’estetica dei grandi fotografi di paesaggio –. Il riferimento culturale è quello di Cartier-Bresson per il quale si cerca di fermare lo sguardo su quanto la gente non sarebbe riuscita a vedere in determinati momenti della visione, che è sempre dinamica. I luoghi hanno un’anima e riescono a parlare. È necessario ascoltare il silenzio, il vuoto, l’assenza di accadimenti che aiutano a porsi in relazione con lo spazio senza negare né vita né umanità. Barberi crea una sorta di trait d’union che collega tutti gli spazi. Tra l’Islanda, terra primordiale ancora in formazione, e San Francisco, spazio urbano totalmente condizionato dalle esigenze umane, ci sono tutte le possibili variabili: scattare una fotografia in un determinato luogo conserva la memoria dei precedenti e si colloca idealmente in un archivio che sfaccetta la realtà fino a immortalarla completamente.


Alla base del progetto di Barberi c’è un messaggio che sembra trasmetterci l’idea che ciò che sta avvenendo è una trasformazione del mondo in una grande e immensa città. Barberi parte dal cosa c’era prima, ci offre dei luoghi nei quali la presenza umana è ridotta alla pressoché invisibilità, al silenzio. Non a caso nel primo scatto si individua una figura femminile nel paesaggio, una mater tellus dalla quale tutto proviene; si conclude il percorso con un’ambientazione analoga in cui si vede invece una figura maschile, un principio negatore del precedente che deve essere percepito come una sorta di ultimo uomo sulla Terra, un pianeta desertificato e privo di speranze. In mezzo il resto.

sabato 18 febbraio 2017

italiancode_feat. maurizio galimberti

ITALIANCODE è un collettivo di artisti formato da Stefano Albertini, Luciano Bobba e Max Portale. L’idea alla base del loro percorso artistico è quella di confrontarsi con l’opera di Mimmo Rotella, autore di uno dei passaggi creativi più interessanti della seconda metà del secolo scorso. In questo modo, adoperando le mappe urbane di Milano, usate come vere e proprie tele, essi costruiscono dei percorsi che identificano artisticamente i luoghi principali della città.



I luoghi sono proposti con le tecniche caratterizzanti il lavoro individuale dei tre artisti, così da offrire un saggio di integrazione e di contaminazione delle arti quanto mai aggiornato. Ciò che viene rappresentato è la città, i suoi segni, i suoi colori, lo spazio condiviso dalle persone che quotidianamente lo riempiono con le proprie tracce. Mimmo Rotella è reinterpretato in chiave ironica, attraverso una sorta di recupero di elementi che definiscono un nuovo sistema visivo.



organizate nello stesso linguaggio delle opere di ITCOD, trovano posto alcuni lavori di Maurizio Galimberti, lavori altrettanto ironici che propongono, nell’ottica mimetica e interpretativa di Rotella, lo stesso fotografo in pose e in “abiti” cinematografici, che così risponde alla creatività dell’artista calabrese. Assai interessante è pure un lavoro che integra con alcune polaroid i percorsi urbani del gruppo.

giovedì 9 febbraio 2017

i disegni di guerra di pietro morando

Come già ribadito più volte, Pietro Morando fu un artista di notevole talento che però non riusci mai a affermarsi in modo adeguato al livello che gli competeva. Eppure, vi è una parte del sua lavoro, quella che documenta la sua esperienza di soldato al fronte durante la Prima Guerra Mondiale, che potrebbe collocare il pittore alessandrino tra i più interessanti testimoni della tragedia che sconvolse l’Europa proprio un secolo fa.



Morando realizzava i suoi disegni in momenti di tranquillità, quando si dilatavano le attese dell’azione e egli appuntava su dei fogli di carta le esperienze vissute. Egli era effettivamente libero di interpretare la realtà in cui si trovava immerso, tramandando un racconto che non ha nulla di epico, apparendo per certi versi antieroico, quotidiano, privo di quegli afflati idealizzanti di cui è permeata certa produzione analoga.




Il terrore per l’esplosione, il rannicchiarsi del fante che cerca di porre un rimedio all’ineluttabilità della situazione, il ferito alla testa intontito e choccato, sono brani di una forza espressiva che, come scrive Alberto Ballerino (curatore insieme a Rino Tacchella della mostra alle sale d'arte contemporanea di Alessandria) pone Morando “tra gli interpreti più efficaci della catastrofe dell’uomo nella prima guerra mondiale”. Nell’opera che l’artista ha realizzato sulla guerra non esistono né vincitori né sconfitti, egli rappresenta un’umanità devastata, attaccata alla vita, un’umanità che prende coscienza del proprio limite e che si rassegna alla sopravvivenza. Per questo Morando, con non comune capacità espressiva, non è solo un aedo della guerra, ma anche, e soprattutto, un pittore di uomini.

(vedi anche: Morando pittore di guerra su questo stesso blog)

mercoledì 8 febbraio 2017

l'astrattismo di bruno aller

 Bruno Aller è uno dei più importanti maestri dell’astrattismo contemporaneo. Il lavoro  di Aller ha una conduzione rigorosa, quella di “un artista intellettuale che si interroga sull’essenza dell’arte, senza che il pensiero soffochi la creatività e il gesto” (Simona Pandolfi). Essa parte da una riflessione sulla forma, una forma che talvolta appare disarmonica ma che è la base per la creazione dello spazio pittorico in cui essa compare.



Continuando in questa direzione, la forma elaborata da Aller ha una valenza progettuale precisa, ma si avvale anche di quello che egli definisce “valenza emozionale”. In tal modo il maestro romano costruisce un impianto segnico e cromatico che a tutta prima risulta chiuso, finito, ma che invece lascia delle sezioni che sono degli autentici punti di fuga attraverso i quali l’opera potrebbe continuare, o meglio, ricominciare a manifestarsi in un continuo divenire.




In questo modo la pittura di Aller diventa per l’osservatore un luogo di riflessione: l’opera è ipoteticamente in continua crescita, e in questo modo anche il fruitore assume su di sé la possibilità di crescere e modificarsi, e proprio attraverso il combinarsi di queste due azioni può contribuire, anche in piccola parte, a modificare il mondo.


mercoledì 25 gennaio 2017

le lettere di rudy pulcinelli

Lo spazio della Galleria Lara e Rino Costa  di Valenza sembra adattarsi perfettamente all’opera di Rudy Pulcinelli, artista pratese tra i più importanti autori contemporanei. Il bianco che costruisce lo spazio diventa il fondale per accogliere le sculture concepite e costruite come susseguirsi di lettere, ugualmente bianche, che caratterizzano la sua opera. Esse divengono in questo modo emanazioni dello spazio, aggetti tridimensionali, che creano un preciso rapporto con il fruitore. Non importa la materia con cui Pulcinelli ha creato le sue lettere, autentici segni snaturati nel loro significato assoluto, non importano le loro dimensioni, esse sono frammenti di discorsi, baleni di idee che si moltiplicano nella babele delle lingue contemporanee.



Le lettere di Pulcinelli appartengono a vari alfabeti, sono l’essenza della cultura, sono la comunicazione allo stato puro, rappresentano un mezzo di emancipazione del genere umano, affermano la possibilità di interagire e sconfiggere la morte che interrompe il nostro eloquio, poiché è attraverso il segno scritto che ciascuno di noi continua a vivere.




Le lettere, come già detto, non costruiscono frasi o proclami, esse si propongono come elementi di dialoghi immaginari, si distendono sulle superfici, si muovono intrecciandosi per costruire qualcosa che sta a noi estrapolare. Le culture rappresentate dai segni alfabetici non sono più distanti tra loro, esse partecipano alla creazione di un linguaggio universale, un linguaggio che sottolinea la straordinaria volontà di essere compresi ovunque e da chiunque.

lunedì 16 gennaio 2017

re/turning Out_opere scelte dal F.R.A.C.

Le opere esposte al Castello del Monferrato rappresentano un estratto antologico di alcune tendenze dell’Arte contemporanea. Si tratta in particolare di evoluzioni concettuali che attraverso la contaminazione insistono sulla combinazione di segni figurativi e verbali che in molti casi riescono a costruire dei racconti di senso solo apparentemente compiuto. La rappresentazione linguistica si mischia a quella plastica, la fotografia si integra con la videoinstallazione, in modo da scorrere sui binari paralleli della somiglianza, comunicando gli esiti di esperienze senza priorità o precedenze.

È difficile fare un discorso generale, ogni artista meriterebbe una singola trattazione e ciò permetterebbe di comprende appieno la portata del lavoro nel quale essi sono coinvolti e del quale, bene o male, sono protagonisti. Il discorso che può essere fatto è che ogni opera si presenta come un sistema metartistico a sé, che trae spunto da realtà quotidiane che appartengono all’universo visivo di chiunque, fermandole e estraendole dal flusso temporale continuo e disordinato nel quale sono calate.

Ribadendo l’eterogeneità dei linguaggi, l’esperienza che si ha di fronte alle opere d’arte contemporanea proposte in mostra, si caratterizza attraverso il confronto tra i diversi artisti che operano in questo contesto culturale, artisti che si allineano comunque nell’intento principale di produrre arte mediante l’impiego di documentazioni fotografiche o di reperti corredati da testi scritti. Essi sono: Armando Andrade, Rosa Barba, Etienne Chambaud, Karen Cytter,Gintaras Didziapetris, Sam Durant, Cyprien Gaillard Robert Kusmirowski, Josephine Meckseper, Tom Molly, Lisa Oppenheim e Danh Vo.