Come già ribadito più volte, Pietro Morando fu un artista di
notevole talento che però non riusci mai a affermarsi in modo adeguato al
livello che gli competeva. Eppure, vi è una parte del sua lavoro, quella che
documenta la sua esperienza di soldato al fronte durante la Prima Guerra
Mondiale, che potrebbe collocare il pittore alessandrino tra i più interessanti
testimoni della tragedia che sconvolse l’Europa proprio un secolo fa.
Morando realizzava i suoi disegni in momenti di
tranquillità, quando si dilatavano le attese dell’azione e egli appuntava su
dei fogli di carta le esperienze vissute. Egli era effettivamente libero di
interpretare la realtà in cui si trovava immerso, tramandando un racconto che
non ha nulla di epico, apparendo per certi versi antieroico, quotidiano, privo
di quegli afflati idealizzanti di cui è permeata certa produzione analoga.
Il terrore per l’esplosione, il rannicchiarsi del fante che
cerca di porre un rimedio all’ineluttabilità della situazione, il ferito alla
testa intontito e choccato, sono brani di una forza espressiva che, come scrive
Alberto Ballerino (curatore insieme a Rino Tacchella della mostra alle sale d'arte contemporanea di Alessandria) pone Morando
“tra gli interpreti più efficaci della catastrofe dell’uomo nella prima guerra
mondiale”. Nell’opera che l’artista ha realizzato sulla guerra non esistono né
vincitori né sconfitti, egli rappresenta un’umanità devastata, attaccata alla
vita, un’umanità che prende coscienza del proprio limite e che si rassegna alla
sopravvivenza. Per questo Morando, con non comune capacità espressiva, non è
solo un aedo della guerra, ma anche, e soprattutto, un pittore di uomini.
(vedi anche: Morando pittore di guerra su questo stesso blog)
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