Quello di Lorenzo Piemonti è un lavoro che spicca per la consapevolezza delle infinite possibilità offerte dai linguaggi non propriamente pittorici. Come alcuni rappresentanti del cosiddetto Astrattismo lombardo (Regghiani, Rho, Veronesi) egli elabora un raffinato discorso che ha le sue radici nell’arte di Kandinskij, ma dal quale media esclusivamente qualche componente, soprattutto cromatica. Sarebbe però sbagliato pensare a Piemonti quale rappresentante di quel movimento, direi che il suo lavoro è regolato da ritmi che sembrano appartenere a un geometrismo costruttivo nel quale prevalgono forme dinamiche che increspano e mettono in discussione l’immobilità cosmica.
L’effetto è quello di un’alterazione di una struttura regolare che si trova a fare i conti con il passaggio di un elemento opposto che costruisce una nuova forma di spazio. Il superamento della bidimensionalità è assolutamente evidente poiché l’interazione di una o più linee con la superficie regolarmente immutabile della base crea un’immagine nuova, una prospettiva condizionata da forze che agiscono intersecandosi e spaccandosi in altri moduli regolari.
Nell’opera di Piemonti – almeno nel corpus successivo all’adesione al MADI’, movimento di astrazione geometrica affermatosi in Argentina a partire dagli anni ’50, come reazione allo scontato realismo della pittura ufficiale – l’espressione e il significato sono elementi marginali. L’approccio deve essere totalmente sensitivo. L’idea che deve prendere corpo è quella di individuare la componente fisica che sembra esprimere i principi di equilibrio e compostezza. L’apparizione delle forme offerte da Piemonti richiama elementi zen, opportunità meditative che si impongono offrendosi agli occhi di chi osserva per i colori, in modo simile al principio mediato dalle strategie adottate dalla natura per attirare, per esempio, gli insetti al fiore. Una volta raggiunta l’immagine, essa non significa, non rappresenta, non esprime, essa è. In questo modo può essere associata a modelli di rappresentazione assoluta nei quali tutto ciò che conta è l’essenza spirituale dell’opera.
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