Già il titolo della mostra (segno verso segno) propone una piccola riflessione. Tutto è da mettere in relazione al significato da attribuire alla preposizione verso. Credo che sia più plausibile pensarla come l'indicazione di una direzione, intendo così individuare un rapporto di analogia e di amicizia tra i due autori. Oppure, nell'ipotesi più intrigante, la stessa preposizione potrebbe assumere un significato quasi opposto, esprimendo nei due modi di operare una differenza segnica che identifica due contendenti, percepiti quasi in lotta tra loro, come se si volesse fare emergere vincente la maniera di lavorare di Bruzzone o di Paoletti. In ogni caso, ciò che viene proposto in in questa interessante rassegna è una sorta di confronto tra due autori liguri che hanno in comune l’attenzione al segno e al colore: Franco Bruzzone e Luigi Paoletti.
La ricerca di Franco Bruzzone si concretizza, in queste ultime opere, nel definitivo consolidamento del segno. Le strutture su cui egli opera sono apparentemente semplici. Di fatto, si percepisce un elemento ripetuto su uno sfondo monocromatico. Ma è l’aspetto sincronico che ci convince dell’unicità del componimento. Bruzzone riflette sul rapporto ritmico fra i segni: essi si susseguono come gruppi di note musicali che determinano contenute melodie. È un variare minimo, regolato dal sottile frammentarsi di pause. Seguendo antiche lezioni, i suoni si associano a un colore che quasi ne potenzia l’impatto emotivo. Il segno, avvolto in questa maniera all’interno di un ineffabile elemento diafano (viola o giallo, regolati da un infinito numero di sfumature) si decomprime accostandosi sinesteticamente a qualcosa che appartiene a una sfera sensoriale diversa. In questa maniera Bruzzone costruisce dei piccoli moduli che richiamano un alfabeto astratto nel quale la visione dello spazio si libera ordinatamente su coordinate orizzontali e verticali.
Osservando i lavori di Luigi Paoletti si ha la percezione di un rapporto totalizzante tra supporto e segno. Di fatto Paoletti sembra esprime un linguaggio estremamente vitale, organico, nell’accezione biologica del termine. I suoi spazi sono impostati sull’intrecciarsi di traiettorie segnico/cromatiche solo apparentemente casuali. L’equilibrio si fonda sull’attenzione per una gestualità che lascia intuire un rapporto con l’improvvisazione jazz. In questo modo, come avviene per alcuni musicisti, Paoletti costruisce un impianto in cui i colori e i segni compongono immagini che hanno un loro potere, che si legano a allo spazio generando parte di quell’energia che percepiamo come componente essenziale della nostra esistenza. I segni cromatici di Paoletti si dilatano quasi illuminandosi, offrendo una raffinata tessitura che è l’esito di una ricerca attenta a percepire il condizionamento sulla materia delle vibrazioni delle luce.
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