Ciò che colpisce e affascina dell’arte di Piero Rambaudi
(1906 – 1991) è il suo esprimersi attraverso la ripetizioni di moduli
geometrici e cromatici che finiscono per comporre delle aree cariche di
contrasti ritmici e, nello stesso tempo, di palesi equilibri formali. Rambaudi
è l’autore di un gioco dalle difficili regole che egli gestisce con grande
abilità, sfidando la materia e la forma, fino a colpire lo spettatore chiamato
a guardare le trame che si compongono sulle superfici dei supporti.
Gli oli degli anni Sessanta sono minimali. L’artista
appronta una porzione della tela con una larga spatolatura sulla quale agisce
sollevando frammenti di materia pittorica in modo da corrugare una parte della
campitura. È il risultato della tensione che appartiene alla pochezza insita
nelle cose, cose dalle quali si può captare solo questa sorta di “ronzio
tattile”. I colori di questa fase sono lividi, solcati qua e là da bagliori
biancastri, mentre il segno resta isolato in crocicchi che scandiscono lo
spazio con regolarità geometrica. Qualcuno, a proposito di queste straordinarie
opere, ha parlato di “paesaggio”, ma quest’ultimo è già bruciato e l’artista ne
mostra le ceneri, le ferite di una lotta con l’esistente che non approda a
nulla. È dunque un segno caduco che regge la scena, ma che nella sua caducità
trova una sorta di risarcimento. In Rambaudi appaiono tracce di una povertà
persuasiva che trasmettono il senso di una ricerca austera, spoglia e
decisamente intensa.
A completare questo percorso, in modo da comprendere appieno
gli sviluppi della ricerca del maestro torinese, sono presentate alcune carte
intelate degli anni Ottanta. Esse mantengono intatto quell’equilibrio formale
che unisce segni e cromie, collocandosi all’interno di un continuo e coerente
processo di riflessione estetica. Interessante, anche se dominata da maggiore
intensità coloristica, apparentemente in contrasto con quella delle opere degli
anni Sessanta, l’ultima fase della sua produzione. In essa egli compie delle
ricerche nelle quali associa la geometria dei frattali – enti geometrici non
interi in grado di riprodurre l’ente di partenza su ogni scala – alla sua arte,
concentrandosi sulla misteriosità di un processo meccanico e schematico ma che,
attraverso il colore, conquista il suo spazio ravvisando in ogni cromia quella
capacità intimamente misterica di far intravvedere nel colore il suo eterno
mistero.
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