Carlos Ferrando i Bellés, artista di origine spagnola, ormai da anni redente in Italia, dichiara gli esiti di una ricerca che sta portando avanti da molto tempo. Essa si concretizza in una singolare installazione che sembra gridare con rabbia tutta l’angoscia del mondo.
Probabilmente egli parte con una riflessione sulla quantità di immagini cui siamo quotidianamente sottoposti. Tutto ciò che vediamo si sedimenta in incontrollabili stratificazioni che ogni tanto lasciano emergere qualche frammento. Se supponiamo di quantificare – e di immagazzinare – la totalità di ciò che vediamo, per esempio, nell’arco di un anno, ci accorgeremmo che per contenerla occorrerebbero migliaia di gigabite di memoria virtuale. Al contrario, il nostro cervello è in grado di percepire tutto e di selezionare le informazioni più importanti, compattando quella massa di elementi e riducendoli a specie di flash che possono essere richiamati costantemente.
In estrema sintesi, è proprio questo che ha realizzato Ferrando. Egli, per concretizzare il contenuto della nostra memoria, ha cominciato a fotografare lo schermo della sua televisione, pensando che proprio questo elettrodomestico potesse essere una specie di finestra in grado di sintetizzare ciò che può essere visto sul pianeta.
A quel punto la macchina fotografica si è trasformata nel simulacro dell’occhio umano e ha cominciato a ridare quei frames che sono stati elaborati e assemblati in un mosaico estremamente eterogeneo, un album di istanti decontestualizzati che riescono a trasmettere un sottile senso di inquietudine. Credo sia proprio il fatto di non capire che cosa si nasconda dietro a quei volti, a quelle situazioni, che ci induce a soffermarci con preoccupazione su un particolare, su un riquadro scelto a caso, nel tentativo di inseguire la verità che si cela in quello spazio. Purtroppo però tutto può essere solo interpretato soltanto con la fantasia, si può inseguire un’ipotesi di racconto, una storia che avrà avuto un suo senso, ma dal quale siamo assolutamente esclusi. Ecco che allora si profila la percezione della terribile condizione cui è costretta l’umanità, una condizione che si fonda su una sostanziale incomunicabilità e solitudine.
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