È chiaro che con ciò non si vuole affermare un venir meno della valenza estetica della sua opera, ma sicuramente la potenza espressiva di quella prima fase lasciò spazio a una seriazione più marcata che determinò un ovvio mutamento dei valori artistici dei singoli prodotti.
È per questo che la mostra di Casale Monferrato diventa esemplare. Si tratta infatti di un’esposizione che racconta la grandezza di Enrico Colombotto Rosso attraverso quei quadri e degli assemblaggi in contenitore (scatole che si riempiono di oggetti e che determinano curiose e svariatissime composizioni) di quei primi decenni, quelli che lo fecero diventare il “poeta del fantastico” che tutti conosciamo. La sua produzione si incentra sulla drammatizzazione di personaggi che spesso si stagliano su sfondi indefinibili, degli eroi solitari che appartengono a universi in cui domina il dolore. Sono esseri malati sui quali si riflettono le nostre angosce e meschinità. Sono apparizioni oniriche, delle rielaborazioni degli incubi romantici che animano le nostre notti.
L’arte di Colombotto Rosso però non fa paura, non suscita sentimenti di repulsione. Essa è magnetica, ci attira come se stessimo riflettendo la nostra immagine in uno specchio e potessimo comprendere tutto l’orrore del nostro esistere, un orrore che, come nel Dorian Gray di Wilde, ci permette di mantenere quell’aspetto più umano per poter convivere con i nostri simili. È dunque una pittura d’atmosfera, leggera e densa di citazioni colte. Infatti, nella produzione pittorica di Colombotto Rosso sono evidenziabili alcune componenti letterarie che, in modo del tutto generico, potrebbero appartenere al fantastico, a quel mondo grottesco intorno al quale sembra ruotare tutto il suo universo poetico.
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