Alessandro Mendini, considerato uno dei “padri” del postmodernismo italiano (o meglio “neomodernismo”, definizione da lui preferita), è architetto e designer che non ha mai mancato l’occasione per emettere distinte provocazioni progettuali, tese a smuovere il clima del design italiano.
Direttore di riviste, prima “Casabella”, poi “Modo” e ancora “Domus” (dal 1980 al 1985), ha sempre scelto di affrontare argomenti nuovi, insoliti e un po’ inquietanti: dai problemi merceologici alla persistenza del kitsch nella cultura occidentale, dal design delle armi alle più audaci sperimentazioni artistiche.
I suoi lavori sono spesso intriganti, sono lavori che colpiscono per la forza visiva che sanno emanare. Dotate di questa energia, infatti, ricordiamo alcune opere che hanno caratterizzato il lavoro di Mendini: si tratta dei pezzi della “Proust Ceramic Collection”, tra i quali vi è la celebre sedia Proust.
La poltrona è trasformata in avvenimento artistico, rendendola così particolare. Essa emana un fascino seducente perché perde completamente l’essenzialità tecnica, il destino d’uso cui avrebbe potuto essere impiegata. L’intervento dell’architetto/designer risulta molto efficace, e questo spiega in parte la presa che può avere sul pubblico. La decorazione, fine a se stessa ma ben meditata, acquista un altro significato. Non si tratta soltanto di un intervento decorativo, poiché la poltrona si trasforma in un elemento ben presente e ben visibile nella struttura stessa dell’impianto estetico generale. La poltrona si impone per vivacità interiore, mischiando un certo carattere visionario e presunta funzionalità. Infatti, in questo caso, non si deve discutere di funzionalità, ma di energia intellettuale, determinata attraverso il fondersi di forma e fluidità, di colori e di citazioni storico/artistiche. Il significato di questa concezione estetica, a prescindere da qualunque giudizio soggettivo, non si riflette sull’uso pratico, ma semplicemente sull’oggetto che cambia per colore e dimensione, rimanendo immobile per forma e materiale.
Quindi, per Mendini è soprattutto una questione culturale, una questione che trova conferma anche nella serie, prodotta per superegodesing nel 2008, delle celebri “Dodici colonne”: tre gruppi, ciascuno di 4 colonne, che si differenziano tra loro per la diversa disposizione degli elementi che le compongono. Anche in questo caso Mendini richiama alla memoria strutture mitiche, strutture che ci portiamo appresso come bagaglio inconscio: colonnati preclassici e ceramiche antiche. La linea curva e l’estremo dinamismo di queste ceramiche colorate sovrapposte, che arrivano ad un altezza di 180 centimetri, sono accentuati dai riflessi mimetici che ingrandiscono a dismisura le superfici più esterne, dialogando con lo spazio nel quale fruitore e oggetto si trovano immersi.
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