L’ultima fase del lavoro di Maurizio Barbieri è, di fatto, una riflessione sul reale. Può essere adoperata l’etichetta di realismo per indicare il carattere della sua pittura, ma una tale definizione risulterebbe limitativa e, sicuramente, non riuscirebbe a palesare quello che è l’essenza più profonda dello stile di questo pittore.
Barbieri non riproduce la realtà e non dà nemmeno importanza alla sua rappresentazione. Ogni istante è per lui raffigurazione e immaginazione, rappresentazione e costruzione, tutti elementi direttamente collegati tra loro. In effetti, il suo atteggiamento è di rielaborazione. La realtà viene documentata attraverso la fotografia e da questo supporto procede con una sorta di ripulitura, una ripulitura che gli consente di svuotare gli ambienti, di eliminare la quasi totalità della presenza umana. La tela appare condizionata negli spazi, si esalta la purezza geometrica dei luoghi, la prospettiva che si compone in un susseguirsi di elementi ordinati e precisi. La sensazione è quella di straniamento, di perdita di certezze, di isolamento e solitudine. Però, contrariamente a certa poetica novecentesca, le sensazioni che si manifestano non risultano negative, non c’è angoscia nei suoi paesaggi. Ogni lavoro di Barbieri sembra essere un momento di una ricerca tesa alla comprensione di sé.
Non c’è però un luogo in particolare che potrebbe diventare simbolo di questa volontà. Anzi, Barbieri sembra voler dire che ogni luogo del mondo contiene tutti i luoghi del mondo e che riprodurre un frammento di una città al centro dell’Asia è assolutamente simile a compiere la stessa operazione per una città dell’Europa. Per Barbieri viaggiare significa consolidare una convinzione unificante, significa comprendere l’omogeneità del mondo che viviamo, senza alcuna differenza. Ciò che Barbieri propone è un qualcosa che esiste nel tempo, un qualcosa che è dentro di noi e appare nella sua assolutezza sostanziale, al di là del passato o del futuro. La certezza della sua arte è che si basa su precise e sicure aritmetiche che costruiscono spazi che possediamo e accettiamo come tali nella loro bellezza ideale.
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