L’installazione “Grass-bag” si colloca all’interno di una riflessione che Giovanni Saldì ha iniziato circa due anni fa. Tutto è nato osservando l’azione della natura su una serie di manufatti posti casualmente da mani ignote nell’ambiente, non necessariamente rovine o cose abbandonate, ma tutto ciò che in qualche maniera si è trovato – e si trova – a rivestire una funzione pratica nel quotidiano umano. La natura, agendo secondo precise meccaniche chimiche e fisiche, diventa un mezzo creativo da apprezzare e controllare e, in questo caso, si pone come prosecutore dell’azione avviata dall’artista, all’interno della quale la natura (che ci appare come una sorta di assistente dell’artista) aggiunge lentamente degli elementi che costringono l’oggetto a cambiare il proprio volto, apportando modifiche sostanziali che però non compromettono assolutamente la struttura estetica intrinseca all’opera d’arte.
Anche “Grass-bag” deve essere inteso come momento di questo percorso creativo, perché, ancora una volta, ci troviamo di fronte a un lavoro che, oltre a distinguersi per il proprio valore artistico, assume interessanti valenze simboliche. La carcassa di una Fiat 500, ridotta al suo esoscheletro scrostato e ammaccato, sembra aver appena fermato la sua corsa in seguito a un incidente, facendo esplodere un air-bag erboso, un fiorire di graminacee che occupano ogni spazio disponibile. È un’opera accattivante, quella di Saldì, che deve essere osservata anche come un invito a vedere che se si vuole sopravvivere, non ci può che essere un ritorno alla natura, natura che con la sua azione protettrice ci fa comprendere che essa non ci tradirà. L’auto è giunta alla fine di un ipotetico viaggio allegorico, in cui il progresso gestito in modo non intelligente e la volontà di sfruttare ogni risorsa del pianeta hanno ridotto l’uomo a desiderare solo il guadagno. L’incidente è inevitabile, sta a noi sapere adoperare correttamente l’air-bag oppure lasciarsi travolgere da un incontrollabile testacoda.
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