“Freaks” è un film di Tod Browning che racconta una triste storia di diversità ambientata in un circo. Freak, infatti, è un termine che identifica una persona con grosse deformità fisiche, deformità che in qualche maniera lo collocano a metà strada tra l’umano e l’animale, lo rendono di fatto un mostro da esibire in un baraccone.
La carrellata di personaggi che Max Ferrigno ha elaborato potrebbero fare parte di questo mondo di marginali, potrebbero accoglierci per uno spettacolo al limite del credibile, illuminati al centro della pista da riflettori che esaltano i loro colori acidi, i loro abiti sgargianti, i loro sguardi ineffabili. Ferrigno ci dice che tutti questi personaggi appartengono a un mondo gioioso, nel quale egli ama rifugiarsi. È come se raccontasse una fiaba dove tutti sono ciò che appaiono. Il suo mondo è lontano dalla realtà, e ciò è dimostrato dalla scelta espressionista, dal ricorrere a figure che appartengono all’universo dei cartoon, figure che vengono rielaborate in modo da renderle esemplari della cultura Pop Surrealist, cui l’artista attualmente appartiene.
Rispetto ai lavori precedenti, nei quali egli insisteva maggiormente sull’elemento pop, l’ultima fase del lavoro di Max Ferrigno è sottolineata da un deciso ricorso alla pittura. Le opere precedenti si distinguevano per un’esplosività contenuta, sorprendevano per la capacità di creare delle situazioni oniriche, quasi fumettistiche. Adesso i suoi personaggi sono assoluti, risultano completi nel loro isolamento, appaiono come statue di un museo dell’effimero, irriducibili nel ruolo che devono svolgere. Sono personaggi malati, contorti e deformati, autentici freaks di un carrozzone senza tempo. La grandezza della pittura di Ferrigno, al di là dell’essere all’interno di una delle correnti più aggiornate, è quella di rappresentare situazioni prive di qualsiasi rifermento fisico, sono opere che raccontano mondi lontani, non-realtà nelle quali tutto può succedere e nelle quali convivono esperienze di cartoon-vite differenti. Ferrigno omette volutamente qualunque intento sociale, non vuole distogliere lo sguardo dall’essenza ludica del suo apparato. L’unica deroga è per gli “A.L.F.” (animal liberation freak), un acronimo nel quale il pittore colloca la sintesi di un pensiero animalista condiviso, un pensiero che cozza con la realtà e che preferirebbe gli animali liberi e non costretti nelle gabbie.
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