Matilde Izzìa di Ricaldone è una pittrice di notevole livello, eppure sono ben pochi a conoscere la sua opere. Essa ha esposto un’ultima volta a Venezia negli anni Ottanta, all’interno di una importante collettiva di pittori che gravitavano intorno all’asse culturale torinese. Era una mostra che avrebbe potuto darle una maggiore riconoscibilità, offrirle una visibilità che avrebbe, a mio avviso, meritato. Decise però di chiudere con le esposizioni, dipingendo solo per se stessa o per pochissime persone che la conoscevano. Potremmo azzardare un motivo di questa scelta, supporne un’eventuale ragione, ma tutto ciò risulterebbe vano e pretestuoso.
A distanza di otto anni dalla sua morte, Cecilia Prete ha costruito un percorso capace di farci conoscere, almeno in parte, questa pittrice, un percorso che copre infatti solo un ventennio della sua attività, quello compreso tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso. Degli anni precedenti, quelli della formazione, per intenderci, non è emerso nulla. Pertanto ci troviamo di fronte all’opera di un’autrice che ha già consolidato il suo stile, che ha già completato il proprio discorso formativo. Ne emerge una personalità forte, capace di mediare gli stimoli culturali del proprio tempo e in grado di raffigurare il circostante con un’espressività moderna e aggiornata.
La sue opere sono monumentali, anche quando si sofferma su particolari semplici e quotidiani. Non si apre all’astrazione, ma la cita con un valore metapittorico, rappresentando un quadro nel quadro. Le sue figure, specie quelle femminili, ci riportano a composte forme ancestrali, espresse con una tavolozza estremamente variegata, che in alcune parti del dipinto gioca sulla sfumatura che si attenua fino a diventare velo per poi esplodere, in altre parti, con un colore che si raggruma assumendo una connotazione materica. Il tutto è contenuto da un segno marcato che costruisce la figura dandole una precisa identificabilità. I contorni diventano gravi strisce di nero e affermano una poetica che cerca di dare corpo a una rappresentazione ovviamente bidimensionale la cui forza scaturisce dal soggetto, sempre immerso in un silenzio metafisico che riesce a imporsi sulla realtà come autentico co-protagonista di queste opere.
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