La pittura di paesaggio dell’Ottocento affonda le sue radici in un ambito culturale risalente a almeno un paio di secoli prima. Credo infatti che essa possa essere messa in relazione alle esperienze maturate in ambito romano da Poussin e Lorrain, autentici capofila di una tendenza che formulerà degli stilemi che saranno ripresi successivamente, sia dal Vedutismo settecentesco, sia dalla pittura romantica.
Lasciando da parte l’esperienza illuminista, esperienza che si sviluppa su direttrici documentaristiche legate a precise esigenze civili o militari, sarà proprio il Romanticismo a dare un’impostazione più definita al paesaggio del XIX secolo. La prima fase della produzione in tal senso si incentra sulla descrizione di Roma, delle sue rovine, insistendo su quel carattere “pittoresco” di determinati luoghi. Riveste una notevole importanza Massimo D’Azeglio che, oltre alla propria valenza di artista, avrà il merito di emancipare la produzione pittorica di aristocratici come lui da quel carattere dilettantesco che risultava imprescindibile. Inoltre, lo stesso D’Azeglio sarà esemplare per la realizzazione dei cosiddetti “paesaggi istoriati”, autentici sfondi per la rappresentazione di episodi di ispirazione storico/letteraria.
Quella del paesaggio romantico è un’esperienza assai interessante, che darà origine a quella koiné che avrà come elementi costanti alberi contorti e scheletrici, vette aspre, roccioni strapiombanti, nubi, elementi che dovranno anche essere letti come metafora dello stato d’animo dell’artista.
Il cambiamento di situazione storico/culturale lascerà spazio a una visione più autentica del paesaggio, non più idealizzata: inizierà la stagione verista, durante la quale si assisterà a una quotidianizzazione delle situazioni dipinte. Il paesaggio diventerà totale e riconoscibile, a garanzia di una richiesta determinata da un sempre più diffuso collezionismo borghese. Il soggetto umano sarà relegato ai margini e l’ambiente montano, studiato dal vero e dotato di una propria plausibilità, diventerà, con titoli che enunciano con chiarezza l’identità geografica dei luoghi, argomento di numerosi dipinti.
L’ultima fase della produzione paesaggistica ottocentesca inizierà con il 1870, quando a un tipo di pittura analitico/calligrafica, si insisterà, quasi allo stesso modo di chi fa poesia, per offrire all’osservatore la condivisione di una sensazione (fondamentale in tal senso sarà l’influenza della neonata pittura impressionista). Ma ciò che ci viene proposto dalle opere di Reycend o Delleani risulta eccezionale nell’esito, il naturalismo pittorico portava già in sé i germi della decadenza di questo genere. Infatti, come ai tempi del Romanticismo il paesaggio diventa proiezione del mondo interiore e finisce per assumere una valenza prettamente simbolica e, addirittura, con il Decadentismo il paesaggio diviene ideista. Nel 1895 viene aperta la prima Biennale di Venezia e, attraverso il confronto con gli esiti proposti da altri autori europei il paesaggio si evolve in qualcosa di differente e pertanto non può più essere definito un genere a sé stante.
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