martedì 28 gennaio 2014

carlo ivaldi: il non peso della scultura

L’idea che sta alla base dell’opera di Carlo Ivaldi è quella di dare spazio alla materia. Per certi versi il suo lavoro potrebbe apparire come quello di uno scultore tradizionale che ama lavorare il metallo, un artefice che si deve cimentare con materiali di estrema durezza, materiali ai quali riesce a dare una forma definita che sembra espandersi  in moduli che non sono mai né ripetitivi né sequenziali.


Dunque un artista di grande talento, capace di possedere come un antico alchimista il segreto della forza della terra e dei suoi prodotti, tanto da riuscire a annullarne le peculiarità, offrendo poeticamente una suggestiva sensazione di leggerezza e di mancanza di gravità. Non è un caso che alcuni dei suoi lavori si presentino come aggregazioni di frammenti metallici sospesi con dei fili invisibili, frammenti che talvolta sospinti dall’aria cozzano tra di loro provocando sottili melodie. In questo modo Ivaldi riesce a stravolgere completamente le regole di ciò che pensiamo di conoscere, dando luogo a figure geometriche che si completano aggiungendo alla loro essenza spirituale quella superiore della musica. Chiaramente si tratta di armonie “grezze”, perlopiù toni semplici, estrapolati da concerti più complessi, dei quali lo scultore ci offre un assaggio, un frammento. Essi non sono studiati per produrre un determinato tipo di suono, essi partecipano però a un’armonia fa parte organicamente della nostra esistenza.

Ivaldi si concentra su un progetto in continua evoluzione che lascia intravedere interessanti possibilità di sviluppo. I suoi lavori si concretizzano nel legame con la parete, diventano dei bassorilievi che stabiliscono un rapporto dialettico tra forma e supporto, un rapporto che è alla base di un sistema di scambi che trova il suo compimento visivo in un punto di intensa condensazione. Non è un caso che i suoi lavori vivano in particolare su dei vuoti che appaiono ai sensi come lacerazioni o ferite, come se la saldatrice che adopera per ricavare le sue strutture abbia lasciato profonde cicatrici nella materia. Proprio quest’ultima, la materia, si trova a possedere quel risalto plastico dal quale sembra scaturire la forma. Essa appare in un leggero palpitare di tubercoli che portano in sé le potenzialità della vita di una natura che sembra ricevere un continuo rispettoso omaggio.

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