L’attività artistica di Mario Surbone ha sempre suscitato notevole interesse. Nella sua ricerca si enucleano alcune fasi che dimostrano come questo autore sia stato in grado di ottenere degli esiti straordinari, densi di particolari riferimenti culturali che determinavano l’affermarsi di un modo assai personale di rapportarsi alla realtà.
Tra gli sviluppi di questa ricerca si trovano gli acrilici, alcuni dei quali realizzati negli ultimi anni, all’interno dell’evoluzione di modelli che avevano avuto la propria genesi nei decenni precedenti. L’elemento naturale, centrale in questa riflessione, rimane limitato a un’impressione bloccata, a un’immagine della memoria che si trasforma in ritmo, in una sorta di suono circoscritto che continua a ripetere la sua melodia.
A volte le superfici di Surbone danno l’idea di un movimento frenato, di un’esplosione repentina, del un balzo in avanti di un elemento che è costretto a contenersi e torna a raggrupparsi qualche centimetro più in là. Non c’è rumore in questa condizione, tutto è silenzioso, o meglio, è obbligato al silenzio. Non ci può essere altro in questa situazione perché tale situazione è già al limite, al confine di una piacevole morbidezza accentuata da una scelta cromatica pacata, impostata soprattutto sui toni degli azzurri.
Diverso è il discorso delle incisioni, molte delle quali realizzate nel decennio 1960/70. La litografia che Surbone utilizza è fatta di aree che si riempiono di materia. Esse rimangono nette e compatte nella loro composizione. L’inchiostro talvolta sembra fluidificarsi, sembra sciogliersi lasciando spazio a una vitalità intensa, a un palpitare di forme che rendono queste incisioni qualcosa di sereno, di piacevole. Anche di fronte alle incisioni policrome si assiste a qualcosa di analogo, poiché la forza delle immagini si imposta sulla sovrapposizione o giustapposizione di aree sobriamente colorate che evocano spazi cadenzati, presenze di natura che si espandono. Oltre a ciò, Surbone inserisce anche dei riferimenti classicheggianti, rielaborazioni di elementi che fuoriescono da aule di accademia, ombre antropomorfe, frammenti di decorazioni che nelle incisioni ribadiscono l’intenso rapporto dell’artista con il mondo che ha garantito sua formazione, dal quale si è distaccato senza però mai dimenticare che il centro del suo operare è comunque il segno nella sua accezione più pura.
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