martedì 13 maggio 2014

ripensare l'opera di pietro morando

Può essere considerato un percorso nel percorso: da una parte l’evolversi dell’opera di Pietro Morando, dall’altra il ripensamento che alcuni artisti contemporanei alessandrini fanno del suo lavoro.

Antonio De Luca opta per qualcosa di molto contemporaneo, evita il confronto con l’opera di Morando citando l’immagine del pittore nella rielaborazione di una fotografia scattata a Venezia, forse in occasione della sua partecipazione alla Biennale del 1956. La foto è il pretesto per far riprendere a De Luca le sagome dei due personaggi e eternarli come icone pop. Vito Boggeri  ha in mente l’opera di Morando e ne estrapola un particolare. Si tratta di una foglia  che riesce a evocare un intero universo, un’immagine che si collega all’albero, quindi alla campagna e infine al mondo dei vinti che amava raccontare Morando.



Davide Minetti fa riferimento alla fase più drammatica dell’esperienza di vita di Morando, quando fu combattente nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Alla base c’è un’operazione proustiana: il ricordo di quel disegno che gli precipitava addosso ogni volta che entrava nella sala d’attesa del suo pediatra. Per Minetti quello è Morando, latore di un’immagine poderosa, così dilatata, così tragica.



Anche Giovanni Tamburelli cita qualcosa dell’opera di Morando. Egli si sofferma sulle cornacchie, evocando un particolare che ci riporta alle tele del maestro alessandrino. Le cornacchie di Tamburelli, però, escono dal quadro e scendono direttamente nella sala a interagire con i visitatori. Tamara Repetto non si richiama propriamente a Morando. Lei elabora una situazione, entrando nello spazio intimo, nella vita del pittore, immaginando un frammento di esistenza capace di diventare mito. Un’esecuzione scarna, essenziale, proprio come l’opera del maestro.




Mario Fallini mira all’essenzialità geometrica. La sua opera cita lo spazio metafisico dei paesaggi urbani di Morando, delle facciate che sorprendono per la loro regolarità. Pensando a Palazzo Rosso, Fallini esaspera il colore della facciata, lo fa esplodere, sovrapponendosi alla scabra linearità morandiana. Mario Annone risulta più sironiano piuttosto che vicino a Morando. Probabilmente dietro a questa tela si nasconde la volontà di dimostrare la presenza di tanti Morando nell’evolversi della sua carriera. Massimo Orsi ricorre al suo segno caratterizzante per costruire un dittico in cui trovano posto frammenti sparsi dell’opera di Morando. Un suggello collocato alla fine del percorso teso a contenere tutto quello che si è visto.

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