sabato 6 settembre 2014

i silenziosi orizzonti di romano demichelis

Ognuno di noi porta dentro di sé un paesaggio: quello di Romano Demichelis era fatto di linee orizzontali, di luci e ombre che talvolta esplodevano in gomitoli di segni colorati. In effetti, dalla sua pittura, così essenziale, emerge in modo evidente il preciso rapporto con il luogo nel quale si era formato, un luogo fatto di poche cose, soprattutto di ripetizioni, di rituali che scandivano i ritmi e i tempi di una comunità.



Demichelis ragionava su quello che vedeva e lo esplicitava lavorando su varie dimensioni. In alcuni casi la sua intuizione si concretizzava sulla realizzazione immediata di frammenti di carta, di fatto assemblaggi di campiture dense di colore, paragonabili a dei versi che si compongono automaticamente e che poi diventano parti di una poesia; altre volte si trattava di elaborazioni più complesse ma decisamente più diafane, quasi dei suoni dei quali egli cercava di individuare il senso più profondo.



Di fronte a questi “esercizi di stile” si ha l’impressione di avere a che fare con il punto di partenza da cui scaturiva l’arte di Demichelis, la base di una ricerca felice e incosciente, durante la quale venivano abbandonati i mille spinosi problemi della propria esistenza, del proprio vivere sociale, per poi ricostruire l’identità globale che l’individuo, smarrito nella sua dimensione quotidiana, ha ineluttabilmente perduto. Quindi potrebbe apparire come una contraddizione la presenza di una figurazione riconoscibile – spesso proposta “in negativo” e certamente collocata in un ambiente inospitale – in alcuni suoi lavori. Ma a ben vedere, la figura svolge il ruolo di deuteragonista, limitando il potere assoluto della materia che compone lo spazio, dando così vita a una sorta di graffito rupestre che cerca di scandagliare le origini di una comunità, di portare a riflettere su quelli che sono i termini e i limiti di un percorso culturale che ha comunque al centro una riflessione sulla natura.



La pittura di Demichelis si accatasta sulle tele in una specie di horror vacui da cui fuoriescono alcune ipotesi di paesaggio. Il colore, dopo aver assorbito la totalità dello spazio, lascia che il composto chimico che lo determina e lo rende tale si “raggrinzisca” offrendo un’idea corporea, un nucleo, un bozzo che lascia trasparire un rapporto tra il primo piano e lo sfondo. Esso è volutamente sottolineato da visibili tratti orizzontali che garantiscono la rappresentazione della tridimensionalità. L’idea di non fermarsi al tratteggio del piano semplice lo allontana dall’astrazione pura, egli rimane legato alla tradizione pittorica, non vuole mettere in discussione la storia, ma vuole calarsi dentro di essa. Demichelis dimostra una volontà costruttiva, lo fa impostando la sua pittura su nervature segniche che poco concedono all’evocazione di matrice astratta. La sua opera è lucida e razionale, essa non assume una precisa connotazione geometrica ma sembra aspirarvi inconsciamente, imprimendo alla pittura direzionalità intrinseche, secondo una calibratura non casuale.

Nonostante il palese disconoscimento della sua produzione del periodo più lontano, coinciso talvolta con la distruzione di numerosi lavori, riusciamo comunque a scorgere l’evoluzione del suo pensiero. I momenti creativi di Demichelis  si esprimono con un arricchimento graduale, con la resa di sfumature cromatiche che riempiono lo spazio di energia misteriosa. Le pennellate, infine, tendono a diventare sempre più sottili, un brulicare di energie che mirano a stabilizzarsi formando grafie archetipiche che emergono come reperti e testimonianze di un passato sempre più remoto.

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