Ciò che salta più immediatamente agli occhi, a proposito dell’opera di Pita, pseudonimo di Patrizia Deambrogio, artista scomparsa nel 2004, è la difficoltà di collocarla all’interno di un “movimento” o di un gruppo particolare. Forse, come afferma Massimo Olivetti in uno degli articoli che compongono il catalogo realizzato in occasione della mostra, per comprendere il senso del suo lavoro e poterne dare un modello interpretativo, è necessario ricorrere agli stilemi della poesia. Per questo, prima di tutto, Pita era una poetessa, una poetessa che dava ai suoi versi una consistenza materica, li rendeva tangibili ponendoli in una dimensione capace di mistificare lo strato più antico e trasformandoli in altro.
Il risultato del suo lavorare era un rincorrere di forme, una stimolante citazione che rendeva le sue opere particolari, simili a traduzioni e rielaborazioni, a frammenti e illuminazioni che costruivano l’ossatura di un percorso su più livelli, all’eterno inseguimento di un piacere che prima di tutto apparteneva, a volte quasi esclusivamente, alla poetessa/artista stessa.
Pita era dunque un’artista ecclettica, si divertiva a sperimentare, lavorava con più tecniche, spesso integrando i materiali, indagando il risultato ottenuto e partendo da lì per ottenere qualcosa di nuovo. Trait d’union di questa sua attività così intensa e continua era il fatto che tutta la sua produzione ponesse al centro della propria ricerca il segno, un segno che a volte si univa a comporre delle illustrazioni, delle immagini che, come le ironiche sirene, devono essere considerate “figure” a tutti gli effetti. Altre volte il segno propendeva al calligrafismo, virando sull’astrazione, lasciando enorme importanza anche al colore che sembra diventare l’assoluto protagonista delle composizioni di Pita.
A questo punto, quando l’elemento astratto sembrava prendere il sopravvento, ecco un ritorno alla realtà tangibile, la citazione di un elemento che riportava la sua opera su un piano decisamente lirico, seppur penetrando in un contesto indiscutibilmente metafisico. È di fatto un’apparizione, ciò cui assistiamo, ma è proprio attraverso questo espediente che apre ai nostri occhi un altro universo fluttuante e tranquillo.
GRAZIE!
RispondiEliminaMaria Giulia Alemanno