La fotografia è un mezzo espressivo attraverso il quale si
possono fare numerosissime sperimentazioni con altrettanti esiti. Le ipotesi
proposte da Roberto Goffi, Martin Bruckmanns e Cinzia Garbi in questo
allestimento, costruiscono una sorta di dialogo incentrato sulla messinscena, o
meglio, su quel modo di inventare delle situazioni per le quali il soggetto
fotografato si presta a offrire una sorta di interpretazione della realtà
interagendo con essa.
Cinzia Garbi pone la sua modella di fronte a un’opera d’arte
con cui crea un rapporto simbiotico. L’esito, attraverso un’azione
meta-artistica, permette alla fotografia – che assume una propria connotazione
artistica – di citare l’opera d’arte che viene utilizzata come elemento
creativo di completamento e ridefinizione dell’opera fotografica.
Martin Brukmanns ricava le sue immagini estrapolandole da
una pellicola in Super 8. Esse rivelano all’osservatore qualcosa di inaspettato
poiché esplicitano una realtà che si cristallizza in un determinato
particolare. Esso, all’occhio, sarebbe di fatto invisibile, in quanto la nostra
mente avrebbe solo potuto intuirlo in una serrata serie ininterrotta di
sequenze. Bruckmanns propone invece immagini isolate, fredde con colori
sgranati e innaturali, quasi degli scatti che, all’epoca dell’analogico, i
dilettanti ottenevano puntando l’obiettivo dal finestrino di un’auto in corsa.
Roberto Goffi costruisce il suo percorso lavorando sui gessi
bistolfinai del Museo Civico di Casale Monferrato. Ciò che ricava è
estremamente vicino all’estetica dell’artista casalese, dotato di quel carico
di drammaticità che appartiene all’idea stessa di quel tipo di scultura. La
pellicola di Goffi è capace di far emergere come dei bassorilievi le immagini
di Bistolfi attraverso il sapiente gioco di luci e ombre che esalta
scenograficamente i volti liberty modellati dallo scultore casalese.
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