L'ultima rassegna ha richiesto, per chi ha potuto osservare le
opere che ne componevano il percorso espositivo, una visione assolutamente
particolare perché se ne potesse comprendere bene il senso. Max Ramezzana è
latore di un linguaggio ben conosciuto, dal forte carattere illustrativo. Come
molti artisti, a un certo punto della sua carriera, egli ha sentito l’esigenza
di cominciare a operare qualche modifica al suo modello estetico, esplorando
territori artistici che solo apparentemente non gli appartenevano.
Il cassetto, simbolico luogo di accumulo di memorie, vera
icona dell’estetica di Ramezzana, non è più il fondale scenografico che ci ha
meravigliati precedentemente. Ora esso si propone soltanto come contenitore di
campiture cromatiche di differente intensità ricavate da assemblaggi di
materiali vecchi e sporcati dal tempo, pseudo oggetti che evocano la spiritualità dei luoghi,
l’accumularsi stratificato di ricordi. La figura è bandita e si stanno
perfezionando e consolidando dei linguaggi che lo porteranno a rivedere alcuni
suoi elementi specifici. Oltre al senso del divenire e sperimentale della sua
pittura, questo nuovo corso gli permetterà di osservare più nell’arte e non con
l’arte. E’ chiaro che questo è per Ramezzana il momento embrionale di una nuova
fase, che però lascia già intravedere la potenzialità del suo temperamento
artistico. Come è già possibile intuire, fin dal titolo della mostra, “aprire
il cassetto”, si subisce la suggestione di dare credito a un gesto capace di
far cambiare e di scindere il pittore dall’illustratore, liberando l’uno
dall’altro, per affrontare e sviluppare nuove e diversissime sintesi emotive.
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