La spiritualità di Aldo Mondino è rilevabile dall’intensità
di alcune delle sue opere. È difficile dire quanto l’artista torinese sentisse
la forza del divino che lo circondava, ma una volta che ebbi modo di chiedergli
di misurare a parole il suo rapporto con la religione, egli mi rispose che ciò
che lo colpiva era la ritualità, e per questo lui ammirava il sacro.
Se si aggiunge a questa idea estremamente laica della
religione una buona dose di creatività ecco che si concretizza, almeno in
parte, l’estetica di Aldo Mondino. In effetti, nonostante si conosca piuttosto
bene l’opera di questo artista scomparso nel 2005, sorprende ancora una volta
la capacità di evocare la sacralità attraverso delle intuizioni che giocano sul
valore della parola – elemento tipicamente ebraico – unito alla forza della
materia con cui compone le sue immagini. Mondino trasforma la realtà dei percorsi religiosi in simulacri che hanno
la capacita di evocare e di trasmettere
il senso di una tradizione, di spiegare gli aspetti più privati di una serie di
percorsi di preghiera che si accostano al divino.
Un solo esempio è sufficiente
per chiarire la forza misteriosa dell’arte di Mondino che con il suo “Raccolto
in preghiera” avvicina il visitatore a riflettere sul rito e sugli stilemi del
suo fare arte, allorquando chi osserva percepisce che il tappeto che si stende
nella penombra dei sotterranei della Sinagoga è stato realizzato con l’uso di
svariate granaglie.
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