L’attenzione all’opera di Giuseppe Pellizza è sottolineata anche dagli appuntamenti
biennali che nella tarda estate di ogni anno, a partire dal 2001, vengono
organizzati a Volpedo, suo paese d’origine. Meritorio è poi il fatto che ogni
edizione sembra collocare un ulteriore tassello per meglio interpretare la
poetica di questo artista in modo sempre più ricco e convincente.
Il percorso che è stato organizzato quest’anno si incentra
in particolare su due settori della produzione di Pellizza, il Paesaggio e la
Natura morta. Detto così si potrebbe pensare a qualcosa di assai legato agli
inizi della sua carriera e alla sua formazione accademica, a un puro esercizio
formale. In realtà, l’interpretazione che si può dare esaminando questi lavori
– alcuni tratti da pagine di taccuino, veri appunti mnemonici delle sue idee –
va in direzione quasi opposta. Infatti, l’attenzione del pittore si incentra su
un “paesaggio che lavora”, su elementi che evocano il lavoro agricolo del
territorio nel quale egli viveva.
Così come, in modo forse più evidente, sul Paesaggio,
analoga congettura si può fare sulla Natura morta. Se da una parte la
riproduzione è incentrata su situazioni di lavoro nel paesaggio, dall’altra
essa verte su prodotti che creano il paesaggio e che appartengono al quotidiano
dell’artista, frutti e verdure nei quali incappava durante le sue
peregrinazioni nelle campagne che lo circondavano. Per questo, come recita il
titolo della mostra, è corretto parlare di rapporti con il territorio, di una
sorta di documentazione che lega questo fondamentale artista ai suoi luoghi, al
lavoro nei campi e ai prodotti della terra.
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