Channukah è una festività ebraica, conosciuta anche con il nome di Festa delle Luci, infatti essa è caratterizzata dall'accensione dei lumi di un particolare candelabro ad otto braccia chiamato chanukiah. La festività dura 8 giorni e la prima sera è quella che inizia al tramonto dell’8 dicembre.
La storia, riportata nel Talmud, racconta che dopo la riconquista del Tempio era necessario tenere accesa la Menorah con olio d’oliva puro. Purtroppo nel Tempio venne trovato olio che sarebbe bastato solo per una giornata. Si preparò lo stesso una Menorah di ferro e stagno e si accese comunque il lume. Nonostante la scarsa quantità di combustibile, quel poco olio durò il tempo necessario a produrre l'olio puro, proprio gli otto giorni che diedero inizio a questa tradizione.
Channukah a Casale è anche l’occasione per l’esposizione delle nuove acquisizioni del Museo dei Lumi. Si tratta delle lampade che gli artisti donano a questa istituzione. Le lampade caratterizzano una creatività che deve concentrarsi sulla realizzazione di un candelabro a otto bracci più quello dello shammash, creatività che si sposa perfettamente con la sintassi stilistica di ciascun artista. Infatti, le risposte rispecchiano chiaramente la fase del percorso che essi stanno affrontando. Relativamente a quanto è avvenuto quest’anno, qualcuno ha risposto in modo da dimostrare immediatamente il legame con la tradizione ebraica, come nel caso di Mario Borgese, Dario Canova, Riccardo Dalisi, Arianna Inglesi, Omar Ronda e Luigi Viale. Altri artisti hanno elaborato dei progetti in cui l’elemento tradizionale risulta chiuso all’interno di interessanti allegorie, come nel riferimento alla natura di Maria Grazia Dapuzzo, oppure alla netta geometria dei legni di Lorenzo Piemonti. Diverse le scelte di Max Ferrigno e Danilo Seregni. Il primo gioca sulla figura di Krasty il clown al centro di un coloratissimo vassoio di dolcetti pop surrealist; il secondo con una struttura a forma di pesce dalla cui coda scendono otto fili cui sono appesi i lumi.
Piergiorgio Colombara, infine, realizza un’opera in ottone, una vera e propria architettura in cui lo shammash trova posto all’interno dell’installazione. Un’apertura ovoidale che evoca l’infinito e la visibilità da ambedue i fronti fanno di quest’opera un notevole esempio di estetica plastica.
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