Si tratta di una serie opere prodotte da Gianni Baretta nel
quinquennio 1976/1981, opere che permettono di riflettere sul rigore di questo
artista, per certi versi libero e autonomo, la cui ricerca sul segno appare
come uno dei più evidenti motivi conduttori del suo lavoro. Ma non si tratta
soltanto di questo, poiché si scopre anche quanto sia fondamentale l’attenzione
per l’aspetto luministico, il valore della materia e la suggestione poetica e
musicale che si trova alla base di alcuni suoi lavori e che si traduce in
epifanie di geometrie ben definite.
Lasciando da parte i lavori in cui Baretta ridefinisce i
rapporto con la cultura mitteleuropea (soprattutto Klee, Kandinskij e Kubin),
si intuisce fin dai primi saggi pittorici datati 1976 il progredire del suo
lavoro. Questi oli si impongono per l’estrema rarefazione pittorica, anche se
non viene mai meno l’interesse per il segno strutturato in ritmiche sequenze.
Risultano però cariche di dramma le opere successive, opere
in cui l’artista si pone di fronte alla materia. Baretta, pioniere in questo
tipo di ricerca, costruisce delle superfici monocromatiche costituite da una
compatto stato di carta pestata. Egli riduce il foglio di giornale a un magma
che assume una corporeità murale, sembra diventare parte di un arriccio, con
una tattilità ruvida che nel suo palpitante aggetto costruisce un’epidermide
sottilmente increspata, carica di poetica vitalità. È allora che questa
sensazione prettamente tattile si evolve, aggiungendo elementi di ispirazione
musicale, descrizioni di arpeggi che trasportano l’osservatore a contatto con
segni liquidi che si dilatano sulla superficie per definire l’echeggiare di una
nota. È una pittura “sospesa” che sembra ripetere all’infinito quell’attimo in
cui la musica jazz sussurra la sua sofferenza.
Seguendo idealmente queste note, si perfezionano le opere
che nascono come citazione storico/artistiche e poetiche. Il grande
“Trakl-Klimt” del 1981, in pasta di carta, permettere di comprendere quale
grado di unione possa mettere in relazione la poesia di Trankl alla pittura di
Klimt, un’ideale convivenza culturale che trasforma la poesia in colore e il
colore in sensazione.
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