Franco
Bruzzone è uno degli esponenti più importanti di quella che potrebbe essere
pensata come una “scuola” segnico/informale genovese. La sua personalità si
definisce alla fine degli anni Cinquanta. All’epoca egli era reduce da un
incidente che lo aveva tenuto a letto per un po’ di tempo e stava sperimentando
il suo modo di affrontare il discorso artistico. All’epoca egli era molto
affascinato dell’esperienza espressionista – in particolare, ricorda l’autore,
dai colori di Kirchner – e, per
poter osservare dal vero i lavori di quei pittori, andò a visitare la mostra
sulla pittura tedesca a Milano. Fu proprio in quel momento che Bruzzone fu
colpito dalla bellezza di certi acquerelli di Kandinskij, dai lavori di Klee,
una bellezza sulla quale cominciò a meditare e dalla quale sortirono le opere
che oggi permettono di percepire il rigore e la coerenza della ricerca che ha
condotto successivamente, cioè i cosiddetti “personaggi” e gli “oggetti/fiore”
che si dispongono a comporre strutture fantastiche e stranianti.
In effetti,
soffermandosi su quei lavori, si percepisce qualcosa del segno dei grandi
astrattisti attivi nella Germania degli anni Dieci; ciò avviene quando Bruzzone
elabora il suo discorso impostandolo graficamente, insistendo con l’inchiostro
e riempiendo certe campiture con l’acquerello. C’è però una forza misteriosa
che fa crescere quelle figure, una forza che sembra provenire addirittura dalla
carta – un tempo bianca, ora naturalmente invecchiata da sembrare un supporto
inciso – una forza che si accumula e si
distende, che allarga i segni e li compatta. Sono fogli regolati da segni
geometrici che si ripetono ma che si aprono a continue variazione
illusionistico/visive. Bruzzone, ovviamente non si fermò a queste carte,
proseguì il suo discorso evolvendo e controllando quella forza. È però oggi
interessante poter osservare, almeno relativamente all’opera incisa, lo
sviluppo creativo dell’artista, dal basilare momento iniziale fino agli anni
più recenti, che dimostra come la crescita del singolo avvenga anche grazie a
eventi collaterali che talvolta capitano imprevedibilmente. Saperli accogliere
li fa diventare momenti importanti in grado di far riflettere e di modificare
un sistema acquisito, mantenendo però intatto quel “rigore” che restituisce senso
di coerenza e bravura.
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