Dell’attività e della biografia di Nicolò Musso si conosce
poco. Si sa che nacque a Casale Monferrato sul finire del XVI secolo e che
morì, verosimilmente nella stessa città dopo il 1622. Dotato di grande talento
artistico fu a Roma negli stessi anni in cui si consolidava l’estetica
caravaggesca, quindi ritornò nei luoghi di origine portando con sé la lezione
artistica all’epoca più colta e avanzata, mediata attraverso la frequentazione
dell’opera del Merisi. Nonostante ciò – anche se sono attestate committenze di
un certo prestigio – , in Piemonte non riuscì a affermarsi come avrebbe
meritato, schiacciato dalla più apprezzata arte del Moncalvo, sicuramente
interessante, ma, al confronto più didascalica e ingenua.
Il corpus pittorico del Musso è attualmente limitato a
undici opere riconosciute. Esse si trovano quasi tutte nel casalese, tranne una
che è inventariata nel patrimonio della Galleria Sabauda che l’ha
momentaneamente trasferita al Museo Civico di Casale. Si tratta della
monumentale tela dal titolo “Cristo che
porta la croce al Calvario” realizzata a Roma nel secondo decennio del ‘600 per
la potente famiglia Giustiniani.
Gli elementi caravaggeschi appaiono evidenti, almeno a
livello di citazione grammaticale. L’elaborazione del Musso è però carica di
dramma, impostata sulla volontà di concentrare l’osservazione sul volto di
Cristo, unico elemento immobile nel vortice dinamico determinato dalle
posizioni degli astanti. Tra i particolari della tela spicca nella penombra un
viso, che rivolge il suo sguardo alla Vergine. È quello di un uomo nel quale la
critica ha voluto vedere un autoritratto del Musso. In effetti, in quei tratti
c’è qualcosa del celebre Autoritratto di proprietà del Museo casalese. Se così
fosse, il pittore si presenta però privo di quella fierezza che emana invece
dal volto noto come immagine simbolo del Museo stesso, realizzato
verosimilmente prima del soggiorno romano. La possibilità di trovarsi di fronte
alle due opere induce a riflettere. Forse quelle due fisionomie sottolineano due
momenti di un’esistenza tormentata, due momenti di una storia “maledetta”, una
storia di fuga dalle proprie origini di appartenente a una famiglia di spicco
della corte gonzaghesca, per abbracciare l’incertezza di una carriera che però
con la committenza Giustiniani raggiunge il suo momento più alto.
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