martedì 17 giugno 2014

due opere di nicolò musso al museo civico di casale

Dell’attività e della biografia di Nicolò Musso si conosce poco. Si sa che nacque a Casale Monferrato sul finire del XVI secolo e che morì, verosimilmente nella stessa città dopo il 1622. Dotato di grande talento artistico fu a Roma negli stessi anni in cui si consolidava l’estetica caravaggesca, quindi ritornò nei luoghi di origine portando con sé la lezione artistica all’epoca più colta e avanzata, mediata attraverso la frequentazione dell’opera del Merisi. Nonostante ciò – anche se sono attestate committenze di un certo prestigio – , in Piemonte non riuscì a affermarsi come avrebbe meritato, schiacciato dalla più apprezzata arte del Moncalvo, sicuramente interessante, ma, al confronto più didascalica e ingenua.



Il corpus pittorico del Musso è attualmente limitato a undici opere riconosciute. Esse si trovano quasi tutte nel casalese, tranne una che è inventariata nel patrimonio della Galleria Sabauda che l’ha momentaneamente trasferita al Museo Civico di Casale. Si tratta della monumentale tela  dal titolo “Cristo che porta la croce al Calvario” realizzata a Roma nel secondo decennio del ‘600 per la potente famiglia Giustiniani.




Gli elementi caravaggeschi appaiono evidenti, almeno a livello di citazione grammaticale. L’elaborazione del Musso è però carica di dramma, impostata sulla volontà di concentrare l’osservazione sul volto di Cristo, unico elemento immobile nel vortice dinamico determinato dalle posizioni degli astanti. Tra i particolari della tela spicca nella penombra un viso, che rivolge il suo sguardo alla Vergine. È quello di un uomo nel quale la critica ha voluto vedere un autoritratto del Musso. In effetti, in quei tratti c’è qualcosa del celebre Autoritratto di proprietà del Museo casalese. Se così fosse, il pittore si presenta però privo di quella fierezza che emana invece dal volto noto come immagine simbolo del Museo stesso, realizzato verosimilmente prima del soggiorno romano. La possibilità di trovarsi di fronte alle due opere induce a riflettere. Forse quelle due fisionomie sottolineano due momenti di un’esistenza tormentata, due momenti di una storia “maledetta”, una storia di fuga dalle proprie origini di appartenente a una famiglia di spicco della corte gonzaghesca, per abbracciare l’incertezza di una carriera che però con la committenza Giustiniani raggiunge il suo momento più alto. 


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