giovedì 6 dicembre 2012

ruggeri_saroni_soffiantino: il ritorno del liceo saracco

Durante l'estate scorsa, dopo un anno di assenza è ripresa la tradizionale rassegna d’arte al Liceo Saracco di Acqui, una rassegna importante, dedicata alla fase informale di tre autori piemontesi di primo piano, vale a dire Piero Ruggeri, Sergio Saroni e Giacomo Soffiantino. Costoro furono alcuni di quei giovani che si raccolsero intorno alla figura del critico Luigi Carluccio, direttore dalla storica galleria “La Bussola”, l’autentico punto di incontro e di dibattito dell’Informale torinese, la cui attività espositiva fu largamente incentrata in questo senso.
Ormai è risaputo che l’Informale è stato un momento fondamentale per gli sviluppi dell’arte contemporanea, un momento che però già nella prima metà degli anni Sessanta aveva esaurito il suo carico rivoluzionario. Con questo non si vuole dire che l’Informale cessi di esistere dopo quella data – e ne è riprova, per esempio, l’attività in tal senso nei decenni successivi  dei tre autori in mostra – ma sicuramente deve essere ridefinito in modo da evitare l’idea di un ripetersi di modi che, obiettivamente, non può e non deve essere considerato tale. Ciò lo si evince riflettendo anche sul titolo della rassegna “oltre il confine dell’Informale”, un titolo che spiega l’effettivo dilatarsi di uno “stile” che però travalica un confine e diventa “altro”.
Piero Ruggeri ancora negli ultimi anni della sua vita si è lasciato trascinare dal fascino della materia pittorica operando un’indagine sulla natura che ha assunto connotazioni completamente differenti rispetto a quelle degli esordi. Le sue immagini più recenti , per esempio, richiamano alla mente riflessi di vegetali su compatti specchi d’acqua, indagando direttamente la natura e evitando di penetrare nel gorgo magmatico che invece apparteneva alla sua produzione degli anni Cinquanta.
Diverso è il discorso relativo a Sergio Saroni. La sua produzione informale degli anni Cinquanta è caratterizzata da due tipologie di azione: da una parte egli pone spessi strati di materia pittorica che si raggruma in contenute strutture geometriche dense di colore; dall’altra vi è la presenza di un segno che si compone in una raffigurazione sintetica che evoca situazioni reali. Si tratta di una dicotomia che nella riflessione artistica successivi vedrà Saroni optare per lo sviluppo di un segno che addirittura, almeno in alcuni lavori degli anni Ottanta, diventerà espressione di un evidente naturalismo.
Il Soffiantino degli anni Cinquanta emerge con una ricerca di conformazioni dai tratti delicati che sembrano talvolta fluttuare nella nebbia. È un insieme di macchie e segni  che sembrano dare una visione del mondo dall’alto. È una pittura morbida, flessuosa, con un uso costante del segno, senza mai velocizzarlo. Il gesto di Soffiantino è carico, ma si stempera e si appiana. È un qualcosa che evoca un ricordo lontano, un tormento della memoria che prende corpo mentre lo si cerca. I lavori successivi, quelli realizzati dalla fine degli anni Sessanta, mantengono qualcosa di quella ricerca, ma diventano più appagati, più immobili, come se l’autore avesse agguantato il senso essenziale del reale.

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