venerdì 28 novembre 2014

l'arte nello spazio di teodosio magnoni

È difficile definire l’opera di Teodosio Magnoni in quanto, più che per altri artisti contemporanei, essa sembra collocarsi  esattamente a metà strada tra la pittura e la scultura. Infatti, a un primo approccio, della prima possiede l’aspetto disegnativo e la riflessione sullo spazio inteso come esperienza prospettica; della seconda, l’aggetto che trasforma ciò che è solo bidimensionale in materia collocata nello spazio. Ciò che egli ottiene è un prodotto estremamente raffinato, sintesi di un’esperienza che risale agli anni Sessanta, quando, dopo la fase informale, comincia a elaborare degli studi che fanno intuire gli esiti geometrici del suo lavoro successivo.



Magnoni, di fronte a questa fase della sua produzione, ci parla di opere minimali in quanto egli decide di abbandonare ogni pretesa d’espressività e di illusione componendo semplici forme geometriche che stabiliscono un preciso rapporto costruttivo con lo spazio che le circonda. Sarà proprio l’evoluzione di questa ricerca a far affiorare gli esiti del lavoro più recente. In quest’ultimo periodo, l’area materica che Magnoni delimita all’interno delle sue opere, appare come netta, chiusa da una precisa linea di contorno. Si compongono così figure a più lati, che stabiliscono un rapporto dialettico con lo spazio che le contiene. Esse appaiono come proiezioni ortogonali in lentissimo movimento, pronte a far scaturire delle forme che trasformano frammenti di realtà. L’illusione che si crea ci induce a percepire delle tridimensionalità che finiscono per  palesarsi solo nelle sculture tout-court. È a questo punto che ci si rende conto dell’estrema coerenza del lavoro di Magnoni, una coerenza che non crea alcun distacco tra ciò che fruiamo come quadro e ciò che vediamo come scultura. Essi sono parti integranti di uno stesso discorso estetico, si affermano come entità singole ma si comprendono soltanto se si ha la capacità di pensarli un continuo inseguirsi di idee e realizzazioni di esse. In questo caso Magnoni porta a compimento un progetto che raccoglie ogni frammento di un processo creativo che esplode in un’architettura scolpita, in una struttura che, perfettamente a suo agio nello spazio in cui è calata, si compone di linee, di piani, di vuoti, di zone dominate da netti chiaro/scuri, capaci di creare un’armonia appagante e totale.


domenica 16 novembre 2014

due installazioni di corrado bonomi

Lo spazio del nuovo allestimento di Corrado Bonomi si trova all’interno di uno dei più bei palazzi tardobarocchi casalesi. Bonomi, come è sua consuetudine, ci propone oggetti familiari e ci induce a osservarli attraverso una prospettiva strana, inconsueta, a volte addirittura irriconoscibile. L’oggetto viene distanziato e guardato da lontano. Al contrario della prima fase di osservazione delle opere, fase durante la quale siamo portati all’immedesimazione, in questo momento percepiamo l’essenza spirituale di un’arte improntata sulla tautologia, cioè un’enunciazione in termini diversi di quanto dovrebbe essere oggetto di spiegazione, con improvvise accelerazioni di significato che danno un valore supplementare al segno che così ironicamente ci viene proposto.



L’arte di Bonomi è ironica, carica di sillogismi e metafore, e anche in questo caso si è servito di questi espedienti per costruire un percorso che spicca per l’aspetto visionario, per la forza con cui si impone al visitatore/fruitore dello spazio. Di fatto non esiste nessun punto che gli è stato messo a disposizione in cui l’artista non sia intervenuto, talvolta mimetizzando il suo lavoro e costringendo l’osservatore a un’analisi che riflette la creatività della sua produzione. È il caso dei “romantici” vasi di fiori che si trovano al centro di ogni tavolo, vasi ottenuti con oggetti tipici della floricultura (sottovasi, tubi per innaffiare, palette da giardinaggio). Essi evocano il fiore, lo imitano, strappando un divertito sorriso di fronte all’inganno che celano.



Altrettanto efficace è l’allestimento che Bonomi costruisce sui muri perimetrali della prima stanza. Egli costringe chi entra a “immergersi” in un mare virtuale, a circondarsi di pesci che però vengono presentati come simulacri inscatolati, come noi li vediamo più spesso, ossia come roba da mangiare. Le scatole di latta di marche assai note ripetono un modulo che riesce a imporsi alla vista per colore e forma senza infastidire.

Nella stessa maniera ci appare la più poetica delle soluzioni artistiche di Bonomi. “Castelli in aria” si colloca a qualche metro  da terra: sottili fili invisibili reggono delle leggerissime nuvole di materiale isolante sule quali hanno le loro fondamenta dei castelli di carta. Moltiplicati da un gioco di specchi, illuminati dal ripetersi delle luci del locale, l’installazione offre un piacevole senso di pace, immergendoci in un’atmosfera meravigliosamente fiabesca.


martedì 11 novembre 2014

saldì fermato a torino

Ospitiamo sul blog un resoconto di una strana vicenda capitata al performer casalese Giovanni Saldì.

 L'artista e performer casalese Giovanni Saldì è stato fermato domenica scorsa con la sua opera itinerante alla fiera d’arte Artissima a Torino. Dice lo scultore: “pensavano fosse un opera prelevata all’interno della fiera e sprovvista di voucher d’acquisto per l’uscita” . 
Giovanni Saldì da tre anni sta portando in giro per il mondo la sua performance, ormai molto visibile e conosciuta, dal titolo “Fammi girare la testa”. Ciò allude al fatto sia che la testa “gira” fisicamente e si muove come scultura itinerante, sia al fatto che l’arte dovrebbe fare girare la testa emozionando. Artista/attore come ama definirsi, sperimenta l’interazione arte-performer-pubblico. Egli non si limita a creare un manufatto ma vuole animarlo inserendolo nella realtà quotidiana, creando un tramite attoriale fra l’animato (pubblico inconsapevole) e l’inanimato (scultura). Si tratta in fondo di una sorta di rappresentazione teatrale durante la quale l’artista dialoga fisicamente con la teste scolpita con asfalti, lasciando letteralmente interdetti gli osservatori che scrutano curiosi cercando di intuire se si tratti appunto di teatro, di performance, o altro.
Dopo un paio di ore di attività all’interno dello spazio espositivo torinese, totalmente documentate da video, la Sicurezza ferma Saldì mentre con la sua scultura ben visibile tra le braccia si accingeva a andarsene. Gli viene intimato: Dove sta portando quest’opera, ha il voucher?  Lui: "Si tratta di una performance la testa è di mia proprietà e l’ artista sono io". Il performer Giovanni Saldì viene così scortato dalla Sicurezza in un locale apposito, per accertamenti sulla medesima opere d'arte. Vengono contattati telefonicamente galleristi e colleghi che seguono da tempo la ricerca di Saldì quali testimoni dell’ originalità dell’opera. Carlo Pesce, curatore di alcune mostre di Saldì spiega che si tratta si un’idea originale e tutto è partito da un prototipo creato scolpendo un pezzo di manto stradale smesso.La statua, una specie di simulacro di musa ispiratrice, suggerisce le idee all’artista e ne diviene compagna di viaggio con l’altrettanto inseparabile videocamera. La testa d’asfalto è considerata una creatura che vive la quotidianità e si arricchisce di esperienze. E’ stata oggetto di tesi all’Accademia Albertina, è andata come visitatrice in Biennale a Venezia, e ha doppia cittadinanza Italo-spagnola essendo nata in Spagna.  L’opera è già stata sottoposta a controlli all’aeroporto internazionale Reina Sofia, per disposizioni di sicurezza relativa ad esplosivi e traffico di opere d’arte. La statua è attualmente sotto sequestro preventivo a Torino e Saldì è stato fotografato insieme alla sua opera per accertamenti. Le indagini in corso vorrebbero accertare se si tratta di un progetto artistico o se dietro possa pure celarsi una manovra di Marketing ben più ampia.

la pittura di felice casorati

Felice Casorati è probabilmente il pittore che ha maggiormente segnato la cultura figurativa piemontese della prima metà del Novecento. Fu un punto di rifermento del dibattito artistico e il suo studio fu frequentato da numerosi artisti e mecenati. In un’intervista egli affermò che avrebbe voluto essere un musicista e che la sua famiglia aveva una consolidata propensione per la scienza. In modo più o meno evidente, entrambi gli argomenti finiscono per convogliare nella sua pittura determinando quel carattere unico, regolare, geometrico, armonico che contraddistingue tutta la sua produzione.



Fin dagli esordi dimostra di essere lontano dalla pittura francese che agli inizi del Novecento influenzava maggiormente la produzione figurativa europea con la su maniera tardo/impressionista. Se si deve cercare un riferimento culturale per la sua pittura, bisogna pensare allo Jugendstil e alla Secessione Viennese. Ma la novità di rilievo sta nel fatto che Casorati afferma una monumentalità propria che affonda le sue radici nella tradizione rinascimentale, o come scrisse Piero Gobetti, che dimostrava due opposte componenti nel suo fare: la scelta di un particolare contenuto ideale e il rigore di pensiero che sigilla nella forma una passione “antidecadente”. Le avanguardie non interessarono la sua pittura, egli fu più attento a quella che è stata definita “la tensione dell’attesa” tipica della poetica metafisica e che darà una marginale caratterizzazione al suo lavoro. La concretizzazione delle sue intuizioni spaziali e volumetriche sono evidenti nelle opere che realizza a partire dagli anni Venti. La prima impressione è infatti quella i avere di fronte delle forme statiche, semplici, severe, sempre molto controllate, scanditi da spazi cubici.



La tavolozza poi, contribuisce a acuire questa sensazione. Casorati crea dei complessi campi cromatici dai toni sempre molto freddi, dove tutto appare in un distaccato equilibrio che isola i soggetti (ritratti o nature morte) in un composto silenzio di meditazione.

La fase finale della sua carriera vede il ricorso a una gamma di colori più luminosi, colori che sembrano relegare sempre più ai margini la carica espressiva dei lavori della maturità, trasformando le immagini in simulacri privi di emozione.


martedì 4 novembre 2014

aldo mondino, riflessioni sull'oriente

Abbiamo conosciuto almeno due Aldo Mondino. Il primo, quello più in vista, quello che si presentò per le vie di Brera a Milano in groppa a un cammello; quello che ha il coraggio di esporre un’opera che sarà sequestrata per blasfemia;  quello capace di trasformare una qualunque scritta in un’opera d’arte, insomma, il Mondino ironico, graffiante, con una personalità talmente dirompente da annullare chiunque gli stesse intorno. Il secondo, incredibilmente più intimista, capace di confessare in un’intervista il suo lato più umano, le sue debolezze, il suo rapporto con la religione ebraica, teso a raccontare i suoi viaggi con uno il piglio di chi sa stupirsi, pronto a recepire la bellezza silenziosa dell’interno di un locale frequentato da fumatori di narghilè o a evocare le meditazioni di ebrei ortodossi in qualche stanzetta di Gerusalemme.



L'intenzione delle rassegne più recenti, e in particolare di quella curata da Marco Porta, è probabilmente proprio quello di far meglio individuare il Mondino più intimista, più legato ai valori poetici della riflessione personale. Infatti, le parole del breve scritto preparato dallo stesso Porta per questa rassegna, sembrano indicare questa via di analisi. Non si tratta di opere compiute, poiché ci si trova a osservare l’abbozzo di un’idea, la scintilla dalla quale avrebbe preso forma un lavoro concluso. Pertanto, questa esposizione casalese è un documento di grande importanza, soprattutto per individuare i meccanismi filologici della creazione dell’opera d’arte. Chi conosce Mondino sa benissimo capire che dietro a quei disegni, alcuni di disarmante semplicità, si nasconde parte di un universo in divenire che riceverà attraverso il disegno la sua forma più o meno definitiva.


Le opere proposte sono quelle che interpretano l’Oriente. Il tema dominante di questi lavori, è comunque operato da un artista occidentale. Tutto avviene in seguito a un viaggio in più tempi iniziato in Marocco e concluso in Palestina. In questa fase Mondino comprende il legame tra la spiritualità e la possibilità di dipingere in modo concettuale. È questo il momento in cui si concretizza, per esempio, la preghiera esaltata della danza dei dervisci o in cui nelle sue opere appaiono come sfondo le sovrapposizioni dei tappeti, o più semplicemente, in cui il fluire del pensiero diventa opera d’arte.