mercoledì 21 gennaio 2015

gabriele croppi a new york city

Ormai la critica parla di “croppismo”, neologismo che individua lo stile di Gabriele Croppi, fotografo piemontese, collaboratore di alcune importanti riviste di viaggi e autore di scatti che, soprattutto per il dosaggio del bianco/nero e per la particolarità della luce, come si è detto, lo identificano immediatamente.
Oggetto dell’ultima indagine è stata la città di New York. Il romanziere statunitense Don Winslow, a proposito di questa città ha scritto in un suo romanzo: “persone dappertutto. Veicoli dappertutto. Auto, camion, autobus, taxi, biciclette. E rumore. Clacson tutto il tempo, grida, musica a tutto volume, dalle auto e dagli stereo portatili. Penso che la parola adatta sia cacofonia.” Nelle foto di Croppi invece c’è silenzio, la presenza umana è ridotta ai minimi termini: microcosmiche figure che contrastano la pesante ombra degli edifici.




Croppi afferma che i suoi scatti mischiano anarchia e classicismo. Nel primo caso si tratta dell’apparente incoerenza delle luci che quasi disorientano l’osservatore. Per spiegare il secondo termine egli ricorre all’influenza culturale che sta alla base del suo lavoro, influenza che si è sedimentata attraverso la somatizzazione di immagini che talvolta sembrano venire fuori dalle fotografie. Croppi, per chiarire meglio questo secondo concetto, ricorre anche all’aggettivo “realistico”. In effetti, esso può essere messo in relazione al fatto della riconoscibilità dei luoghi, della loro identificabilità. Ma la New York City di Croppi non è propriamente “realistica”, egli racconta invece un frammento di mondo ideale, ridotto a un’essenzialità di linee che rimanda alla matematicizzazione rinascimentale. La realtà di Croppi è razionale, anche nell’apparente casualità di ciò che fotografa. Egli non risponde esclusivamente all’esigenza estetica che si lega all’interpretazione di un determinato luogo, il suo non è un reportage che si appropria di immagini. Le sue fotografie sono meditate e è per questo che lasciano da parte un loro eventuale valore simbolico. La sua indagine è libera e spazia su un’area dell’esistente enorme, lontanissima dai vincoli evocativi alla base di una ricerca analogica. Croppi non è mai scontato, sorprende tracciando dei segni che sembrano unire i suoi scatti alla pittura (Hopper) e alla poesia (Withman).


venerdì 9 gennaio 2015

riccardo guasco... campionissimo me

Quando si fa riferimento a Riccardo Guasco, spesso si ricorda il giudizio comparso sulle pagine di “La Repubblica” che lo annovera tra i migliori illustratori italiani. Per questo, per comprendere lo spirito del lavoro di Guasco è opportuno prima di tutto chiarire il significato del termine “illustratore” . Con un po’ di pedanteria, il termine deriva dal latino e ha nel suo etimo un riferimento all’illuminazione. Ampliandone il senso, esso identifica colui che correda con delle figure un testo, quindi “illumina” o “rischiara” ciò che qualcuno ha detto o ha scritto.



Illustrare è dunque un’arte complicata perché, in un’unica figura di sintesi, si deve tenere conto del senso profondo di un testo e si deve essere capaci di incuriosire, di attirare l’attenzione dell’osservatore. Guasco nella sua ricostruzione grafica sembra abbracciare tutti i campi della comunicazione visiva, in particolare nella reinvenzione della natura e nella creazione di ambienti artificiali dove le sue simbologie sono a volte magicamente complesse. Questa, probabilmente, è la chiave per intendere meglio la sua ricerca che, come nell’opera di  Depero, artista da cui ha sicuramente tratto qualche ispirazione, diventa poesia.



La sua arte è impostata sull’uso di linee semplici, spigolose, che si riempiono di pochi colori vivaci, a volte addirittura stridenti. Le immagini di Guasco che in questo caso riguardano il tema del ciclismo hanno un piacevole senso dinamico, quasi egli operasse una rivisitazione più contemporanea e più pacata del Futurismo.  Nel suo lavoro si intravedono delle sfumature oniriche che probabilmente nascono da un’esigenza interiore, intuizioni che pongono i suoi disegni in perfetta sintonia con il clima culturale del nostro tempo, volto a ricercare in un particolare “mito” un valore unificante e caratterizzante.




“Rik”, pseudonimo dell’artista, con i suoi disegni ironici e poetici, ci riporta a al centro di antichi duelli, ci conduce sulle strade percorse dal Tour o dal Giro, ci racconta con l’essenzialità del suo tratto tutto un mondo che nella sua disarmante semplicità ci appare così ricco di valori da esaltarci e piacevolmente appagarci.