lunedì 22 dicembre 2014

antonio de luca verso l'astrazione

Antonio De Luca è uno dei più interessanti artisti attualmente attivi della provincia. La sua arte nasce attraverso un preciso e continuo lavoro di ricerca che gli ha consentito – facendo riferimento alla sua più recente produzione – di ottenere una sempre maggiore rarefazione pittorica. La sua arte nasce da un segno che si espande sul foglio, inondandolo con un lentissimo e continuo movimento organico. Il segno, fatto di pura materia pittorica, è tracciato sul supporto e si giustappone per ottenere delle figure, spesso diafane, invisibili e ectoplasmatiche.



Difficilmente si può contemplare la figura intera nella produzione di De Luca, questo ha dato adito a congetture psicanalitiche che però sono confutate dall’autore stesso, il quale sostiene la positività del suo lavoro che tende a incentrarsi sul valore ludico dei suoi apparati. In effetti, essi spesso insistono su elementi che ci riportano alla danza, al gioco infantile, a atmosfere che hanno un vago sapore idilliaco e che chiudono i suoi personaggi all’interno di Horti conclusi che lasciano fuori ogni bruttura della realtà.




Il valore concreto dell’opera di De Luca è ulteriormente acuito dal fatto che, ormai da qualche anno, egli vi ha introdotto frammenti di ceramica e di altri materiali tridimensionali. In questo si sostanzia una ricerca di profondità dell’immagine attraverso un aggetto del piano bidimensionale del quadro. La sovrammissione di questi elementi plastici (spesso opere concluse e a sé stanti) spinge De Luca a ridefinire le sue intuizioni inserendo delle sbavature più controllate, capaci di creare piacevoli sensazioni naturalistiche. Egli così ottiene una ancora più marcata rarefazione del colore che assume una valenza quasi di trasparenza. L’oggetto sembra allora emergere come componente assoluta soprattutto se viene relazionato alla linea che lo costruisce e che continua a mantenere quel vigore primordiale che è stilema del suo fare arte. Quest’ultima fase, quasi intuendo l’assunto di Heidegger per il quale nel fare spazio parla e si cela allo stesso tempo un accadere, gli permette di gestire lo spazio, intuendo le sue potenzialità e progettando quello spazio/luogo che è condizione fondamentale del proprio essere e, nello stesso tempo, condizione reale dell’universo.


mercoledì 10 dicembre 2014

maurizio galimberti futurista

Il marchio di Maurizio Glimberti è immediatamente riconoscibile. La sua opera si presenta come un mosaico di polaroid che costruiscono e definiscono un’immagine. Che ci si trovi di fronte a ritratti di personaggi  più o meno famosi o rappresentazioni di luoghi che costituiscono il quotidiano delle nostre città, la sensazione visiva di fronte alla sua fotografia è quella di un’immagine avvolgente che sembra muoversi in continuazione. Galimberti è l’autore della frammentazione dinamica e della ricostruzione del soggetto. Egli non si limita a offrire una visione da un unico e preciso punto di vista, ma la mimetizza, demandandone la riconoscibilità a quelle capacità logiche che appartengono al nostro cervello.



Galimberti si definisce futurista, dadaista, artista pop, anche se ci tiene a sottolineare la forte e personale componente europea di quest’ultima appartenenza. Assai comprensibile, l’aspetto futurista diventa evidente proprio nel momento in cui si associa il suo lavoro al concetto di “dinamismo”: il soggetto raffigurato si muove nello spazio e l’elemento cronologico si annulla eternato nel movimento. La fotografia che si compone è sì frutto di parti, parti che Galimberti ha bloccato con lo scatto, ma unite, esse diventano una sequenza circolare, un ripetersi infinito di una stessa situazione.




La fotografia, in generale, non può essere pensata come forma d’arte organica, ma l’estetica di Galimberti rischia di mettere in serio dubbio questa affermazione. La fotografia, infatti, si limita a rappresentare qualcosa di organico (con l’accezione artistica del temine); Galimberti, al contrario, riesce a trasformare un’immagine carica di razionalità in una forma in divenire che non può essere ricondotta ai quei limiti geo/temporali cui noi siamo soliti ricondurre il concetto di scatto. Galimberti dimostra di possedere le molte qualità che appartengono all’artista e al fotografo, disponendosi a farle emergere ogni volta che ciò risulta necessario, lavorando sul microcosmo che sta dietro l’intimità del singolo per costruire il macrocosmo che identifica il rapporto, in grado di plasmare il mondo, tra le singole esistenze.