lunedì 10 febbraio 2014

the last woman in the world di giovanni saldì

Le soluzioni formali proposte da Giovanni Saldì nelle sue più recenti apparizioni sembrano dare luogo a due differenti ipotesi di lettura del suo lavoro: da una parte egli si cimenta con la materia grezza e i problemi a essa connessi; dall’altra si incentra su un’ossessiva osservazione del corpo umano che, nella sua visione, rappresenta simbolicamente uno stato in cui la materia prende forma. È chiaro che il cardine su cui si incentra la ricerca di Saldì è proprio la materia ed è proprio da questa certezza che è necessario partire per affrontare qualunque discorso critico in proposito.


Il progetto The Last Woman in the World ha due momenti di fruizione artistica. In questo caso il punto di partenza avviene con la presentazione di alcuni ritratti femminili che l’artista risolve con un chiaro riferimento classico/accademico. A tutta prima questa impostazione risulta palese e imprescindibile, ma appena si scalfisce l’evidenza iconica di queste opere, si cominciano a cogliere dei particolari che quasi ci disorientano. Sembra infatti che il pittore voglia concentrarsi solo su un particolare del ritratto (un orecchino, la curva del naso, l’acconciatura) lasciando il resto in una situazione di non finito, quasi volesse trasmetterci l’idea che la sedimentazione materica che ha contribuito alla rappresentazione di quel determinato corpo si sia interrotta, oppure sia ancora in divenire, cercando una propria valenza organica.


La concretizzazione di questa azione si palesa sulla metarappresentazione del gesto compiuto. Saldì, infatti, proietta  sulla schiena di Elisa Martinez (modella e performer) un filmato in cui si vedono le sue mani che realizzano un disegno astratto/geometrico sulla schiena della medesima donna. In quel momento la schiena diventa il supporto di un supporto; l’azione artistica, che ricorda la manipolazione plasmatrice di un demiurgo, è così memorizzata e viene reiterata e ripetuta un numero imprecisato di volte, ossessivamente. Il risultato finale induce a percepire, accanto all’immobilità dei lavori prettamente pittorici, il dinamismo di un’azione che deve essere ugualmente intesa come “pittorica” e che ha ancora una volta lo scopo ultimo di far riflettere sul trascorrere del tempo e sulla capacità di immortalare la bellezza dell’ultima donna sulla terra. 

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