mercoledì 25 giugno 2014

108 e l'astrazione della street art

Guido Bisagni è uno degli street artist più conosciuti in Europa. Da un certo punto di vista, come tanti come lui, la definizione di  “artista di strada” calza a pennello, perché la strada è il luogo che gli ha permesso di sviluppare la sua vocazione.



La strada ha offerto l’affermazione di sottoculture che poi si sono trasformate in cultura, ha permesso il fiorire di una serie di poetiche che sono alla base di un discorso estetico carico di valore. La strada ha raccolto un pubblico vastissimo che oggi si muove in quelle atmosfere scandite da ritmi caotici, gli stessi che descrivono le nostre esistenze.

Bisagni – o meglio 108 – ha offerto con la sua arte un’opportunità di riflessione. Attraverso la sua creatività e la sua intelligenza ha imposto il suo pensiero alla visibilità pubblica, in nome di una libertà espressiva e di una fruibilità talmente ampie da non poter essere quantificate.
Proporre gli esiti delle sue esperienze creative in uno spazio “ristretto” non deve essere percepito come una contraddizione. I suoi lavori non sono chiusi da un margine, essi fluttuano sulla superficie, si muovono affrontando dialetticamente lo spazio.  La poetica urbana alla base della sua formazione non viene sacrificata perché nei lavori “da interni” vi è comunque una riflessione sul segno, vi è la presenza di forze telluriche che sembrano definire fratture che  si aprono nelle esistenze di quelle stesse persone che compongono l’universo urbano.




Per questi lavori Bisagni fonda la sua arte sulla cripticità tipica della lettera, spesso indecifrabile. A livello stilistico egli indaga su differenti soggetti per esprimersi in modo adeguato in ogni situazione. Bisgani evoca gli stati d’animo della società attuale attraverso un ritorno all’astrazione per ottenere le forme proposte. La sua poetica definisce allora degli elementi organici che cambiano con il passare delle ore, con l’incidenza della luce. Il loro tendersi li rende carichi di forza, intrinseca e estrinseca, li colloca all’interno di un microcosmo che ciascuno di noi recepisce e rielabora, riconoscendo l’opera in uno spazio che lui ha allestito e che noi, spontaneamente, facciamo nostro.

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