lunedì 7 gennaio 2013

giovanni bonardi e l'antico

INTERPRETARE L’ANTICO
Torniamo all’antico, sarà un progresso.
Giuseppe Verdi

…Ma ecco l’opera che più mi preme,
lavorata con più cura e più anima…
Costantino Kavafis

Porsi di fronte alla produzione artistica di Giovanni Bonardi significa entrare in contatto con qualcosa che sembra non appartenere a nessun tempo, che, pur ispirandosi a precise suggestioni che hanno a che fare con la Storia dell’Arte, sembra fluttuare attraverso i secoli, trasformando se stessa in un elemento perennemente contemporaneo. Il modo di agire dell’artista, infatti, è regolato da cadenze che paiono ripetere una gestualità che potrebbe essere di qualsiasi epoca, dall’antichità alla più aggiornata contemporaneità.
I lavori di Bonardi emergono nella nostra immaginazione, come quei preziosi reperti archeologici che talvolta ci vengono restituiti dal mare o dalla terra. Per questo, nella sua attività plastica, assumono un preciso valore estetico il frammento, il bronzetto, oppure la terracotta, manufatti che maggiormente caratterizzano l’attività artistica di Bonardi. In essi si percepisce il particolare rapporto di ammirazione che lega quel tipo di oggetto a una personale visione dell’antico, una visione che, chiaramente, è da considerarsi poco più che una suggestione, un sogno, simile a quello evocato dai versi di Costantino Kavafis. È un rapporto di totale devozione, di accettazione di una bellezza che travalica il piano prettamente umano per divenire eterna entro una sorta di idealità divina. Inoltre, come Kavafis, Bonardi si richiama ai modi più pieni dell’Ellenismo, a quel momento di rielaborazione nel quale l’arte classica entra in crisi e si trasforma in qualcosa di sostanzialmente differente. Si ottiene un prodotto estremamente raffinato, nel quale l’immobilità divina viene meno a vantaggio di una più organica descrizione dionisiaca della vita. È in questo senso che devono essere percepite le trasfigurazioni che Bonardi opera sui suoi soggetti. I corpi umani, per esempio, sono il supporto per dei piccoli brani di virtuosismo che si mimetizzano nelle loro forme. Infatti, porzioni di superfici epidermiche sembrano sciogliersi in casuali aggregazioni di materia che, però, non sono tali e nascondono impressionistiche scene di paesaggio o di genere, scene che offrono all’artista l’opportunità di dare l’enigmatico titolo alle sue opere.
Su quei volti, su quei corpi, sui frammenti realizzati da Bonardi, si deposita una sottile patina polverosa. Essa rappresenta l’azione del tempo, anticipa la sottile ossidazione dei metalli, e, nello stesso tempo, sottolinea l’eternità di quella stessa scultura dalla quale trae ispirazione per il suo lavoro. La forma compie così un’ulteriore metamorfosi accentuando quel senso di smarrimento che proviamo di fronte a quella bellezza che, scomparsa per secoli, riaffiora per tornare a essere condivisa. L’eleganza misteriosa di quei tratti ci fa percepire un attimo di quell’ineffabile felicità che, secondo Marc Fumaroli[i], ci riavvicina agli antichi facendoci comprendere l’ormai dimenticato significato di otium.
La presenza delle Muse che circondano Apollo ci introduce in una sorta di santuario delle arti che si chiude alle nostre spalle. Siamo immersi in un silenzio profondo, nella rispettosa meditazione alla quale dobbiamo soggiacere nel momento in cui ci troviamo di fronte a una manifestazione del sacro. Bonardi risolve questo enigma dando all’ispirazione, a quell’impulso irrazionale o fortuito diretto verso la formulazione di un prodotto artistico, – allegoricamente rappresentata dalle Muse – una valenza aerea, collocando le effigi di queste divinità su delle tele che fluttuano nello spazio e si oppongono alla concretezza materica della statua di Apollo. Anche il tratto pittorico di queste tele è volatile, risolto con una tavolozza ridotta, quasi a ribadire la peculiarità scultorea dell’opera di Bonardi.
Giovanni Bonardi, quindi,  non dimentica le lezioni degli antichi maestri, scultori, pittori o poeti. Egli ne trasforma i simboli, ne rielabora i modi ottenendo qualcosa che appartiene alla realtà dei nostri giorni. Non si limita a citare, il suo apparto è convincente e prezioso, è quasi come se penetrasse a fondo nelle esperienze che si sono accumulate attraverso migliaia di opere e estrapolasse dei contenuti che individuano il senso di un determinato lavoro.
È chiaro che di primo acchito, di fronte all’opera di Bonardi, si è portati a cercare la citazione, a individuare un riferimento, ciò che appartiene alla memoria, ciò che sembra determinare piuttosto che essere determinante. Bonardi – e qui risiede il senso della sua arte – rivive il passato, è egli stesso fatto di passato, di un passato che non è morto ma che vive come esperienza creativa.


[i] Marc Fumaroli, Paris-New York et retour. Voyage dans les arts et les images. Librarie Arthème Fayard, Paris, 2009.

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