venerdì 1 febbraio 2013

livio bourbon al labirinto di casale monferrato

Chi conosce l’induismo sa che Kumbh Mela è una delle sue feste religiose più importanti. Migliaia di pellegrini si recano ogni tre anni dove oggi sorgono le quattro città sacre, Haridwar, Nasik,Ujjain e Allahabad, per purificarsi nelle acque del Gange attraverso un bagno rituale che lava ogni peccato. Si tratta di un avvenimento straordinario, sicuramente quello più capace di rendere la dimensione spirituale di questa religione. Questo avvenimento di fede è stato oggetto di un intenso reportage fotografico di Livio Bourbon.
Livio Bourbon, reporter dell’agenzia spin 360, è conosciuto per la sua attività di documentazione fotografica, documentazione di viaggi, di imprese sportive estreme, di avvenimenti che raccontano esperienze collettive. La sua professione non deve essere scambiata con quella di un fotografo d’arte, egli rifiuta questa etichetta, perché, ci spiega, agisce “artigianalmente”, muovendosi con l’intento di raccontare qualcosa che, di volta in volta, varia di fronte alla prospettiva del viaggio che sta compiendo.
Kumbh Mela è nato per caso. Non c’era un’intenzione particolare, perché Livio Bourbon si è trovato in India con scopi didattici, assieme a un fotografo che voleva imparare le tecniche del reportage. Pochi di noi potrebbero essere preparati a sopravvivere in un contesto così dispersivo, immersi in un mare di persone vocianti, tra colori e profumi, tra uomini e donne che, lentamente, salmodiando, si avvicinano alle acque del Gange. Credo che l’abilità del reporter sia proprio questa: fermare in uno scatto la sensazione di un momento, capire quale sguardo privilegiare, in modo da universalizzare l’unicità di una situazione che mai più potrebbe ripetersi. Nelle foto di Bourbon è racchiusa la forza di un attimo, all’interno di un percorso che deve essere somatizzato da chi osserva gli scatti. In questo caso, come in altri lavori analoghi – e sta in questo il valore artistico del reportage – non bisogna cercare di addentrarsi nella retorica interpretativa, perché ciò che si vede è quello che deve essere visto, senza ulteriori elementi aggiuntivi. Alla luce di ciò, credo che il miglior atteggiamento da tenere di fronte a una rassegna come questa, sia quello di un’oggettività assoluta. Infatti, spiegare questo tipo di foto risulterebbe operazione priva di senso che snaturerebbe il lavoro tecnico del reporter.

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