lunedì 11 marzo 2013

alessandro traina personale al triangolo nero

Le opere di Alessandro Traina hanno una duplice valenza. Da una parte rispondono all’esigenza pittorica di rapportarsi alla verticalità del muro, dall’altra, esse occupano lo spazio del contenitore che le ospita con contenuti aggetti, dilatando la loro dimensione per assumere una precisa connotazione plastica.

Soffermandosi sulle opere più recenti, si ha l’impressione di essere di fronte a dei lavori semplici, risolti attraverso l’aggregazione geometrica di barre metalliche coperte da fasciature di garza che richiamano le tonalità ossidate del ferro e il bronzo. L’aggetto di queste strutture è appena percepibile, in quanto Traina insiste maggiormente sulla ripetizione di moduli quadrangolari che scandiscono lo spazio.  Una leggera bicromia aiuta l’occhio a rincorrere i limiti di aree che, nonostante l’immobilità di questi apparati, sembrano perdersi nel progredire di variabili infinite.

I lavori realizzati intorno al 2008 rispondono in modo assai marcato a quella caratteristica già esplicitata di “occupazione” dello spazio espositivo. Essi sono sculture a tutti gli effetti, che partono dall’idea di flettere il piano per uscire in modo netto dal rapporto base + altezza. Il volume che si compone è estremamente variabile, un volume che si struttura in modo differente a seconda del punto di osservazione.  L’opera, pur mantenendo intatto il proprio spirito razionale, basato su precisi calcoli matematici, assume però delle connotazioni organiche, creando delle tensioni che favoriscono la sensazione di un continuo movimento teso a voler piegare le sottili barre metalliche.
Tutto risulta molto leggero, e la conferma di questa sensazione è determinata dalla sperimentazione che Traina compie con la carta, in opere che anticipano – o completano – il lavoro che l’artista esegue con il metallo.  La piegatura che egli opera sulla materia è dello stesso tipo, più calligrafica quella cartacea, più netta quella metallica. Il movimento è, in entrambi i casi, contenuto, mai netto, anche se l’esito è quello di un improvviso spezzarsi, uno spezzarsi che però viene rimandato nel tempo, con i cliché di quella stessa infinita tensione che regola l’universo.

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