lunedì 25 marzo 2013

dall'informale alla pop art a vercelli

Durante gli anni Sessanta il mondo visse una stagione concitata, fatta di ingenue fiducie nel futuro e di drammatiche contraddizioni, di sicurezze, di angosce, di irreversibili conquiste e di vertiginose cadute. L’occidente visse un periodo di benessere economico senza precedenti, con l’industria dei beni di consumo che diffondeva ovunque il suo credo. Le vecchie ideologie sociali sembravano incapaci di dare contro a questi sviluppi, creando i presupposi per una nuova società prammatica e agguerrita.
La cultura guardò con occhi critici questa trasformazione,di cui coglieva gli aspetti più inquietanti: l’identificazione della personalità con i beni posseduti, lo sperpero di risorse, l’angustia di un futuro dominato dalla tecnologia. La dipendenza dell’uomo dall’oggetto divenne costante motivo di riflessione.
Per esempio, nel 1962 Samuel Becket, uno degli interpreti più sottili della situazione umana del nostro tempo, ambientava il suo lavoro teatrale "Giorni felici" in un allucinato paesaggio postatomico abitato da due deliranti sopravvissuti; e a livello di diffusione di massa fu Antonioni, con l'Eclisse del 1962, Blow up del 1966 e Zabriskie point del 1969 a scancandire quel decennio con una riflessione sempre più incalzante sull'alienazione dell'uomo occidentale in un universo in cui l'alternativa si poneva sempre fra distruzione e rivolta
la letteratura conobbe in Francia una nuova stagione con la scuola del Nouveau Roman che mirava a disegnare una nuova fisionomia dello scrittore e dell'opera lettraria più aderente ai nuovi problemi che la trasformazione sociale imponeva. gli scrittori proponevano un mondo immobile, impersonale, all'interno di un'esistenza totalmente oggettivata. nel 1961 uscì un film di Alain Resnais dal titolo "L'anno scorso a Marienbad", con la sceneggiatura di Alain Robbe-Grillet, esponente di punta del Nouveau Roman, nel quale la minuziosa descrizione di ambienti e particolari creava un'atmosfera fredda e ambigua, colorata di angoscia esistenziale.
Dunque gli anni Sessanta, con le loro contraddizioni, sono il periodo durante il quale sono stati creati i lavori che sono proposti nella mostra vercellese organizzata in collaborazione con il Peggy Guggenheim Museum, presentati qui per la prima volta al di fuori del museo veneziano.
La mostra intende dunque illustrare il panorama artistico degli anni Sessanta, attraverso il confronto tra la scena creativa statunitense e quella europea. In questo dialogo è possibile cogliere la maturazione di una dimensione totalmente nuova della cultura visiva. Il 1964 è l’anno del trionfo della Pop Art americana alla Biennale di Venezia, che assegna a Robert Rauschenberg il premio riservato a un artista straniero, spostando definitivamente il fulcro del sistema artistico dall’Europa agli Stati Uniti.

La mostra mette a confronto tre momenti fondamentali che illustrano efficacemente l’arte di questi anni.
Il primo è rappresentato dal superamento dell’arte informale in direzione di nuovi segni e spazi, in cui materia e linguaggio diventano luoghi di un’inedita sperimentazione. In parallelo è presentata l’esperienza di riduzione espressiva individuata dalle nuove indagini monocrome e spaziali, espressa, fra gli altri, da artisti come Fontana e Castellani.
Momento culminante della mostra è la rivoluzione iconica e mediatica che approda alla nuova figurazione Pop, fondata sulla reinterpretazione e dissacrazione della tradizione visiva secondo le coordinate della comunicazione contemporanea e incarnata da autori come Johns, Rauschenberg, Lichtenstein e Warhol.

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