venerdì 12 aprile 2013

antonio de luca tra tradizione e contemporaneità

Antonio  De Luca opera  una sorta di indagine sulla percezione, poiché ciò che si palesa è la volontà da parte dell’artista di elaborare una serie di elementi occultandone parte del messaggio. De Luca impregna della sua arte un luogo vissuto, e lo fa attraverso una pagina testimone del tempo. Qualcuno ha affermato che i ritratti esaltano i particolari di un volto. Se si dovesse fare riferimento a questa frase, l’arte di Antonio De Luca quasi non esisterebbe. Egli non si sofferma sul ritratto, le sue figure sono quasi tutte fatte con quelle parti del corpo che normalmente non vengono ascritte a un ritratto impostato tradizionalmente. È un po’ come se Antoon Van Dick, uno dei più grandi ritrattisti di tutti i tempi, avesse deciso di caratterizzare la nobiltà seicentesca per mezzo delle gambe. All’epoca sarebbe stata un’operazione di difficile comprensione, ma oggi, grazie al fatto che l’estetica contemporanea ammette ampie libertà, i concetti, le esperienze proposte da De Luca sono accettabile, semplicemente per il fatto che essi sono simultaneamente reali e apparenti, elementi che appartengono a  un mondo dove ogni forma e linguaggio mutano rapidamente e si consumano in fretta. Tutti i linguaggi hanno vita breve, tuttavia la loro morte non è eterna grazie all’implacabile meccanismo del revival.

Per De Luca la pittura è un linguaggio, un sistema sintattico nel quale egli esprime la sua libertà. Si tratta di una pittura/linguaggio viva, in quanto devianza dal costume di certi umani. Il suo modo di dipingere, appoggiando  il colore direttamente dal tubetto al supporto, è una specie di prodigio nel quale l’artista impiega uno sforzo che gli permette di trasformare un’idea in un’opera d’arte. De Luca insiste con un processo che sembra rendere indesiderabile la parola “finito”, poiché tutto ciò che è chiaro e visibile è contemporaneamente difficile da vedere e da capire.
L’interesse di De Luca è sempre stato rivolto all’indagine e alla comprensione del mondo. L’interesse fenomenologico per lo spazio è una delle chiavi privilegiate per accedere al suo lavoro, un lavoro per il quale la distinzione tra vedere con gli occhi e fare esperienza con il corpo è ridotta a zero. Per questo appare spesso inadeguato dare delle definizioni, riferimenti storici e, da un certo punto di vista, un possibile giudizio critico che renda attendibile un discorso sull’opera d’arte.

La sua pittura è uno sviluppo del linguaggio narrativo: lungo assi concettuali si intrecciano micro narrazioni riconoscibili. Alla bidimensionalità dei dipinti, poi, si aggiunge la tridimensionalità delle ceramiche che si spingono ben oltre il limite delle carte. La luce si posa su queste “suppellettili” che la riflettono e la catturano. Tutto risulta più ordinato, quasi a seguire una precisa regola che unisce pittura e scultura. È un dialogo tra la doppia e la tripla dimensione, dal momento che talvolta la stessa immagine appare sottoforma di immagine/quadro e di oggetto/scultura, come un sosia.

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