martedì 2 aprile 2013

mario annone e la sua produzione grafica

Mario Annone è artista assai conosciuto per la sua produzione pittorica. Il suo è uno stile decisamente personale, regolato, almeno in una sua fase, sulla rilettura e la reinterpretazione di temi cari al futurismo e al cubismo. Ciò si evidenzia in particolare nel momento in cui realizza alcuni suoi paesaggi, paesaggi che appaiono essenziali, stilizzati in risoluzioni geometriche che si riempiono di tinte assolute, dando al mondo che egli rappresenta una particolare valenza di completezza e compattezza.
Infatti, è proprio il raffronto con alcune opere pittoriche che ci permette di percepire un’analoga sensazione anche di fronte alle incisioni. Le prime opere in tal senso risalgono al periodo in cui operò una sorta di apprendistato nello studio di Pippo Pozzi, durante gli anni Settanta. Avendo in mente il corpus inciso di un altro eccellente arista alessandrino, Pietro Villa, i primi lavori di Annone sembrano parti di un dialogo con costui: entrambi gli autori incentrano la loro riflessione su  una silenziosa celebrazione del quotidiano. Annone, come Villa, non ama gli eccessi . Le loro situazioni sono pervase di calma, e tutto risulta immerso in un’atmosfera  netta e comprensibile nella sua definizione. Forse l’incisione di Annone è più semplice, ma l’effetto è emotivamente di impatto.
Il suo paesaggio è talvolta frutto di sintesi estrema. Si percepisce la realtà di esso dai particolari, anche se essa sembra celarsi continuamente per chiudersi in se stessa e trasformasi in astrazione. Ciò che appare è dunque  una visione interiorizzata, un immergersi in un mondo che viene proposto quasi privo di riferimenti riconoscibili, se non quelli di brevi epifanie di gelsi e abitazione lontani.
Analoga riflessione può essere fatta con la rappresentazione di alcuni luoghi di Alessandria. Anche in questo caso Annone si lascia andare all’evocazione di elementi ricordati, trasformando la città reale in una specie di idillio mnemonico, un idillio nel quale forse prevale l’aspetto onirico della cupezza di un luogo che, nonostante tutto, si manifesta nei limiti di una propria bellezza.

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