mercoledì 1 aprile 2015

inclusioni di renata boero

La stratificazione culturale del genere umano si forma attraverso vari tipi di esperienza. Probabilmente, la più formativa è il viaggio, e il viaggio può avvenire o attraverso il proprio movimento fisico, spostandosi da un luogo a un altro, o attraverso le immagini che altri ci forniscono. In questo caso l’esperienza non sarà propriamente fisica, ma avrà una connotazione totalmente spirituale. Comunque sia, alla base di entrambe le operazioni c’è la volontà di concretizzare un processo mnemonico che ha come fine ultimo la nostra crescita.



Questa premessa per spiegare che alla base del lavoro artistico di Renata Boero c’è una riflessione sul viaggio e sulla lettura di testi pseudoscritti e di immagini che li compongono. Per comprendere questo processo comunicativo conviene concentrasi sulla straordinaria installazione costruita all’interno dell’aula della Sinagoga casalese. Per prima cosa è il nostro olfatto che entra in contatto con l’opera d’arte: esso percepisce il diffondersi e il mischiarsi di aromi che come sinestesie si associano a dei colori. A questo punto sono i colori a diventare protagonisti dell’opera, colori che si dispongono attraverso le forme rettangolari come parti di rotoli di pergamena mimetizzandosi con le antiche modanature della Sinagoga, sostituendo suppellettili non scampate alla furia antisemita e evocando i riti della cultura ebraica.




È la Boero stessa a spiegare che ogni colore, ogni frammento di carta, ogni profumo è la pagina di un libro su cui è stato scritto qualcosa. Se lo specifico di questa operazione, continua l’artista, è la riflessione sul perpetrasi della tradizione religiosa, sulle vite che hanno scandito il tempo di intere comunità, più genericamente, è l’esistenza stessa di ciascuno di noi che si dipana simbolicamente su quelle care accartocciate e colorate. Insomma, conclude, si tratta di  frammenti di memoria che compongono le pagine di un libro che non deve e non può essere distrutto. Ecco allora che prendiamo coscienza di avere di fronte a noi un particolare “libro d’artista” che documenta una contaminazione scandita da una serie pressoché infinita di livelli percettivi.


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