Dietro alla costruzione degli impianti cellulari di Beatrice
Gallori c’è un lavoro difficile, a metà strada tra l’alchimia e l’arte. La
cellula è uno degli elementi base della vita, anzi, è essa stessa la
testimonianza di un’attività che può legarsi all’esistente. La Natura ha
stabilito l’aggregarsi cellulare in modo casuale, e grazie a questa casualità
si è sviluppato ciò che i filosofi hanno chiamato “essere”.
Come il protagonista di un romanzo di Matheson ci piacerebbe
entrare a contatto con quell’infinitamente piccolo universo cellulare, ma data
l’impossibilità di questo viaggio, non ci resta che affidarci all’arte. La
bellezza dell’opera di Gallori è determinata in particolare da due elementi:
quello prettamente estetico e quello evocativo. Il percorso di Gallori è
affascinante, l’artista toscana ci conduce a contatto con superfici lisce, dai
colori accesi, sulle quali colloca delle sfere aggregandole in modo da creare
essa stessa delle forme. Esse sono la metafora di qualcosa che ci appartiene ma
che ci è totalmente invisibile, quel qualcosa che, genericamente, potrebbe
definirsi vita.
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