domenica 18 agosto 2013

schmimo e il volto di un piccolo centro

Quanti sono stati gli artisti che nei decenni passati, hanno valicato le Alpi e, percorrendo l’Italia, hanno lasciato preziose documentazioni sugli usi e costumi di questa nazione? Quante volte ci siamo soffermati a osservare un’incisione, un dipinto, un acquerello che descriveva un paesaggio noto, un angolo del nostro quotidiano bloccato in uno sguardo capace di renderlo eterno? Appunti, fogli sparsi, album, piccoli capolavori  di un’arte minore che serve a far riflettere, serve a porre le basi per la creazione di altre opere, opere per le quali questi frammenti sono un’essenziale base mnemonica.
Non si discosta da questa tradizione Regine Schmidt-Morsbach, meglio conosciuta negli ambienti artistici tedeschi e europei con lo pseudonimo di Schmimo. Anche lei è reduce da vari soggiorni in Italia e ha somatizzato in parte lo spirito di questo paese… in parte, però, perché il suo sguardo ha mantenuto quella capacità di stupirsi, di meravigliarsi di fronte all’aggregarsi chiacchierone delle persone, ai cambiamenti di umore del paesaggio, all’ampio gesto delle braccia capace di sostituire parti di discorsi, ai silenzi che riempiono le vie e le piazze dei piccoli centri urbani e collinari. Schmimo, infatti, sembra preferire, almeno per quanto riguarda l’Italia, non le realtà metropolitane, anche se non mancano delle sue incursioni all’interno delle grandi città, ma la più pacata atmosfera della provincia, l’ambiente meno dinamico nel quale il ritmo quotidiano ha mantenuto quel carattere tradizionale, in cui le cose sembrano ripetersi con consolidata ritualità.
Schmimo ha dunque la capacità di rendere queste situazioni, di riprodurle ricorrendo a forme di espressionismo molto personalizzate, che ai nostri occhi sembrano rielaborare gli atteggiamenti di Otto Dix o di George Grosz . I personaggi di Schmimo sono resi sempre con un taglio particolare, talvolta si allungano come delle ombre, si ammassano come se si mettessero in posa per una fotografia  e si sciolgono in un caleidoscopio di colori sovraccarichi e leggeri nello stesso tempo, degli acquerelli che riescono a offrire delle immagini di grande impatto che si bloccano nella memoria di chi osserva.
Non è un caso che di fronte a questi lavori sia d’obbligo fare riferimento alla fotografia e si abbia la sensazione di avere di fronte proprio degli scatti fotografici. L’artista tedesca ricorre infatti a questo strumento, alla fotocamera, almeno in una prima fase del suo lavoro di ricerca, vale a dire quando si sofferma su un particolare di una persona o su qualcosa che la riesca a identificare e a differenziare. Dopo lo scatto riproduce questi uomini e donne isolandoli, li decontestualizza collocandoli su sfondi neutri e compatti, privi di qualunque rifermento cronologico o topografico, li isola nella loro unicità trasformandoli in tante unità che costituiscono una singolare aggregazione. Ciò che spicca di costoro è comunque sempre il volto che ritrasforma il soggetto dipinto in un personaggio perfettamente inserito nella realtà in cui è stato colto. Ciò è un valore assoluto, ma che può essere esteso anche ai risultati artistici del soggiorno conzanese di Schmimo, un soggiorno che ha trasformato in Storia la vicenda individuale delle persone che hanno avuto la fortuna di capitare nell’area visiva delle sua attività.

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